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Ilva: 10 offerte e tanti dubbi. Il rischio è la svendita a pezzi | Lo scenario

Una settimana, due al massimo. È il tempo che si sono dati i commissari straordinari dell’ex Ilva per valutare le dieci manifestazioni di interesse arrivate nel fine settimana, tra attori nazionali e internazionali.

Ma lo scenario che si profila è ben lontano dalle aspettative: dopo il passo indietro degli azeri di Baku Steel e degli indiani di Jindal, restano in corsa soltanto due soggetti interessati all’intero complesso siderurgico.

E sono entrambi fondi di investimento: gli americani Bedrock e Flacks Group, quest’ultimo affiancato da Steel Business Europe. Due proposte, dunque, ma con un’anima finanziaria più che industriale.

Le loro offerte – trapela – non brillano per concretezza: Flacks, per esempio, avrebbe messo sul piatto una cifra simbolica di 1 euro, accompagnata dalla promessa di “zero esuberi”. Una formula suggestiva, che tuttavia lascia irrisolte le domande centrali: come rilanciare Taranto, quali investimenti per la transizione verde, quale destino per gli altiforni.

Le altre otto manifestazioni di interesse puntano invece a singoli asset. Renexia, parte del gruppo Toto, guarda al futuro impianto Dri; Marcegaglia, da sola e in cordata con Sideralba, è interessata sia alla controllata francese Socova sia ai tubifici; Industrie Metalli Cardinale punta anch’essa sulla filiale transalpina; una cordata composta da Profilmec, Eusider, Trans Isole e ancora Marcegaglia ha messo gli occhi sull’acciaieria di Racconigi.

Un mosaico di proposte che conferma il rischio di smembramento del gruppo, con appetiti mirati ma senza un progetto di sistema.

A rendere il quadro più surreale è arrivata anche l’offerta simbolica della sezione di Alleanza Verdi e Sinistra di Taranto: 2 euro per rilevare l’intero complesso, con l’obiettivo dichiarato di chiudere gli altiforni.

Una provocazione firmata da Rosa D’Amato e Gregorio Mariggiò che i commissari hanno immediatamente liquidato come “non corrispondente ai criteri della gara”.

“La situazione del sito resta complessa”, ha ammesso il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso, sottolineando come le “tante questioni giudiziarie di fatto riducano la capacità produttiva del sito e mettano in difficoltà le prospettive di rilancio”.

Il secondo altoforno resta bloccato dai giudici, e questo “ha inciso in modo serio sulla produzione”, ha aggiunto Urso, ribadendo che il Governo segue da vicino la procedura ma con margini di manovra ridotti.

Sul fronte sociale, intanto, la tensione è palpabile. A Taranto la cassa integrazione straordinaria riguarda già 3.803 lavoratori su un totale di 4.450 cassintegrati.

Il Ministero del Lavoro aveva convocato un incontro per affrontare l’estensione della cig, ma Fim, Fiom e Uilm hanno scelto di disertare il tavolo.

“Scaduti i termini del bando l’unico elemento che abbiamo è una nota stampa che indica dieci offerenti”, hanno spiegato, chiedendo una convocazione a Palazzo Chigi che faccia chiarezza sul percorso futuro.

La riunione – accusano – “tende a escludere il parere dei lavoratori e dei loro rappresentanti”.

Le prospettive appaiono nebulose. Sebbene il termine stabilito non sia da considerarsi perentorio, i commissari hanno fatto sapere che “eventuali proposte che dovessero pervenire successivamente saranno valutate esclusivamente qualora presentino condizioni particolarmente favorevoli per la procedura in corso”.

A Genova si gioca il destino del forno elettrico e di centinaia di posti di lavoro, mentre a Taranto restano aperte le ferite ambientali e sociali.

Senza un progetto unitario, il timore diffuso è che si arrivi a una svendita a pezzi: con i laminatoi e gli impianti “buoni” contesi dai privati, e il cuore pesante di Taranto lasciato senza futuro.

Ex Ilva si conferma così il grande rebus dell’industria italiana.

Dieci offerte non bastano a garantire una via d’uscita: servono strategie, capitali veri e una visione di lungo periodo.

Per ora, sul tavolo ci sono solo promesse fragili e la certezza di un’attesa carica di incertezza.

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