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Federico Rampini (Corriere): «La malattia dell’Occidente che ha oscurato la minaccia di Putin»

Federico Rampini, sul Corriere della Sera, sostiene che il motivo per cui l’Occidente è arrivato così impreparato alla sfida tremenda lanciatagli da Putin, è la caduta di autostima delle democrazie liberali, assediate dal proprio interno prima ancora che da formidabili avversari esterni.

Dietro la nostra sottovalutazione delle minacce di Putin negli anni passati, e ora dietro il pacifismo ipocrita «né con la Russia né con la Nato», affiora questo problema più generale, che ha contribuito a far precipitare l’aggressione contro l’Ucraina.

È la smobilitazione ideologica dell’Occidente: da tempo concentrato nel processare sé stesso, criminalizzare la propria storia, colpevolizzarsi per gli orrori dell’imperialismo. Solo il proprio, s’intende: gli imperialismi russo o cinese non contano.

Se tutto il male del mondo è riconducibile a noi, perché avremmo dovuto vigilare su chi ci vuole mettere in ginocchio? Per quale ragione avremmo dovuto irrobustire le difese sui confini orientali della Nato, se l’unico militarismo ad avere disseminato il pianeta di sofferenze è il nostro?

Questa sindrome auto-distruttiva è acuta in America. L’attentato alla democrazia americana è stato ben visibile nella presidenza filo-putiniana di Trump. Ancora qualche giorno fa, prima che arrivassero sui nostri schermi le immagini atroci di bombe e di morte in Ucraina, l’ex presidente repubblicano era intento a definire «Putin un genio, Biden un incapace».

Sul fronte opposto, il disprezzo per la liberaldemocrazia americana è speculare e simmetrico. Il movimento radicale dell’anti-razzismo, Black Lives Matter, da anni denuncia gli Stati Uniti come l’Impero del Male. Le sue analisi e i suoi slogan vengono regolarmente ripresi dalla propaganda russa e cinese.

Putin e Xi Jinping hanno strategie diverse ma convergono su una diagnosi: l’Occidente è in una decadenza irreversibile, confermata dal nostro crollo di autostima.

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