Da qualche settimana si susseguono denunce sulla dinamica insoddisfacente dei salari italiani rispetto agli altri paesi europei da inizio secolo, nonostante il buon andamento dell’economia negli ultimi anni.
È per certi versi curioso che ci si concentri solo sui salari, senza discutere da dove viene questa divergenza di lungo periodo.
L’Italia è stata tra i fondatori del progetto europeo, non solo per convenienza economica ma per una scelta di civiltà.
L’ingresso nel mercato unico veniva vissuto come un nuovo ‘contratto’ tra nazioni: i paesi più deboli avrebbero potuto avvicinarsi gradualmente ai più forti, in un percorso di convergenza e di sicurezza condivisa.
Oggi, però, quella promessa appare per noi incrinata.
L’Italia sperimenta un impoverimento relativo rispetto ai partner con cui aveva deciso di camminare fianco a fianco.
Potremmo dire che è entrata in crisi la fiducia nel ‘futuro condiviso’: la percezione che il progresso non riguardi più tutti, ma solo alcuni Paesi.
Le statistiche raccontano una vicenda di aspettative deluse.
Nel primo quarto di secolo di euro, l’economia italiana è cresciuta in totale di appena il 4%, contro un +30% dell’area euro nello stesso periodo.
Nello stesso arco temporale, tra il 2004 e il 2024, il reddito reale pro capite degli italiani è diminuito del 4%, mentre la famiglia media nell’UE lo ha visto aumentare di oltre il 22%.
Si tratta di un’anomalia: l’Italia è l’unico Paese europeo oltre alla Grecia ad aver sperimentato una contrazione del reddito medio reale nell’ultimo ventennio.
Nel frattempo, soprattutto nell’Est, si sono registrati veri salti di scala: Romania, Polonia, Lituania hanno più che raddoppiato i redditi medi dall’ingresso nel mercato unico (Eurostat 2025).
È la cartografia di una convergenza asimmetrica: alcuni si avvicinano al centro, altri ne vengono progressivamente espulsi.
La divergenza non riguarda un’Italia astratta, una media con tante storie diverse.
Ogni regione ha perso terreno rispetto alle omologhe europee.
Perfino le locomotive del Nord hanno arretrato: il Veneto, ad esempio, pur rimanendo relativamente più ricco, nei primi vent’anni del secolo ha avuto una crescita del PIL pro capite inferiore alle regioni del Mezzogiorno, Molise escluso.
Come documenta il Nono Rapporto sulla coesione economica, sociale e territoriale della Commissione europea, che esamina l’andamento del reddito disponibile reale pro capite delle regioni UE nel periodo 2001-2021, in Italia tutte le regioni hanno visto diminuire tale reddito rispetto alla media EU nell’arco temporale analizzato.
Che cosa è accaduto?
Le spiegazioni sono molte, ma hanno un filo comune: l’incontro fra un mercato sempre più esigente e un sistema-Paese che non ha saputo rinnovarsi con la stessa velocità ed il peso di un debito che nei momenti di crisi ci costringe a scelte costose.
Da un lato, il mercato unico ha reso la concorrenza più intensa.
L’allargamento ad Est e la globalizzazione hanno inserito nel gioco produttori con salari più bassi e sistemi fiscali più leggeri.
Una parte della manifattura italiana si è spostata altrove; un’altra è sopravvissuta comprimendo salari e margini.
Dall’altro lato la produttività del lavoro ha smesso di crescere già dalla metà degli anni Novanta: segno di un problema profondo di innovazione, organizzazione, capitale umano.
Il tessuto produttivo è rimasto frammentato in una miriade di imprese piccole, poco capitalizzate, spesso familiari, che faticano a reggere la competizione globale e a investire in ricerca e sviluppo.
L’Italia si caratterizza ancora per un basso tasso di laureati, siamo il penultimo paese in Europa da più di un decennio.
La bassa qualità istituzionale – burocrazia lenta, giustizia civile poco efficiente, alta percezione di corruzione – ha ridotto la capacità di investimento e la capacità di usare bene le poche risorse disponibili.
A ciò si somma (ma ne è anche il prodotto) il fattore demografico: invecchiamento, bassa natalità, fuga di giovani qualificati.
Una società che percepisce il domani come più povero dell’oggi tende a investire meno, a rischiare meno, a chiudersi e a generare fughe.
Riconoscere l’impoverimento relativo non significa cedere al fatalismo.
Significa, al contrario, restituire verità alla discussione pubblica.
Se un importante Paese fondatore dell’Unione si scopre molto più povero in termini relativi rispetto a vent’anni fa, è l’intero progetto europeo a essere interrogato.
Le previsioni di crescita, dopo la crescita relativamente soddisfacente degli ultimi anni, restano modeste.
La Commissione UE indica per l’Italia tassi intorno allo 0,8% nei prossimi anni, i più bassi del continente, ma la traiettoria non è scritta una volta per tutte.
Il PNRR e i fondi di Next Generation EU rappresentano una finestra irripetibile: la possibilità di trasformare una parte di debito comune in investimenti in capitale umano, digitale e verde.
Devono servire a cambiare anche la struttura della spesa pubblica a regime, altrimenti il crollo degli investimenti di cui faremo esperienza sarà molto rischioso.
Serve un salto di qualità: capacità tecnica nella gestione dei progetti, ma anche una bussola politica chiara.
Una politica industriale che non si limiti a inseguire i mercati, ma aiuti il Paese a scegliere alcuni assi strategici – transizione energetica, filiere tecnologiche, servizi avanzati – su cui concentrare sforzi e risorse.
Accanto alle riforme economiche, c’è una dimensione più sottile ma decisiva: la fiducia.
Una Italia che non crede più nel proprio futuro diventa difensiva, litigiosa, incapace di elaborare un progetto condiviso.
In fondo, il paradosso dell’Italia nel mercato unico è questo: abbiamo accettato una sfida storica senza completare gli strumenti per reggerla.
Il mercato europeo rimane una straordinaria opportunità, ma senza investimenti e istituzioni efficaci diventa uno specchio impietoso dei nostri ritardi.
L’impoverimento relativo non è un destino inevitabile.
Può diventare, se affrontato con lucidità, il punto di partenza per un nuovo patto tra italiani ed europei: meno narrazioni consolatorie, più responsabilità condivisa.








