Sul fronte economico si archivia un 2024 con una dinamica di crescita moderata (0,7%), e lo sarà ancor di più per il 2025. Si evidenzia per il nostro Paese un ridotto contributo da parte dei consumi finali.
Per il 2025 concordano osservatori internazionali, come il prudente FMI, che stima un PIL Italia allo 0,4%, istituzioni nazionali come Banca d’Italia e MEF allo 0,6%. Sempre di zero virgola si tratta, comunque al di sotto della media Area Euro, meglio della Germania e sensibilmente inferiore alla crescita della Spagna.
Sempre per il 2025, occorre evidenziare che secondo quanto previsto dal FMI, le tre principali economie europee (Germania, Francia e Italia) cresceranno in misura inferiore rispetto alla media Area Euro (0,8%).
Un rallentamento dovuto fondamentalmente allo sviluppo di politiche commerciali, in primis quelle protezionistiche, e di non prevedibili evoluzioni adottate dall’amministrazione statunitense a cui si va ad aggiungere un contesto geopolitico di assoluta incertezza (conflitti Ucraina e Medio Oriente).
Di certo nulla sarà come prima, ciò che fino ad ora consideravamo una certezza si è trasformato in una variabile non di facile interpretazione. Giusta la preoccupazione, in primis per un Paese come il nostro vocato all’export.
Nel 2024 abbiamo esportato merci per un valore quantificato in 623 miliardi di euro, in diminuzione dello 0,4% rispetto al 2023, con un saldo commerciale positivo per circa 55 miliardi. La preoccupazione va però circoscritta a quelle imprese con una scarsa redditività che avranno minori spazi di manovra se non si raggiungerà un accordo accettabile in tema dazi.
Positivo il fatto che gli USA hanno iniziato una trattativa con la Cina, dovrà essere altrettanto con l’Unione Europea. Non dimentichiamo che USA, Cina e Unione Europea contribuiscono per circa il 60% alla formazione del PIL mondiale.
Bene il tasso d’inflazione, meglio delle maggiori economie europee, anche grazie al minor costo della “bolletta energetica”. Bene anche i saldi del bilancio pubblico, torna a crescere leggermente il rapporto tra debito e PIL per effetto della maggior spesa per interessi e la ridotta crescita del PIL nominale.
Fronte salari si evidenzia una perdita del potere d’acquisto, attenuata se si considera la retribuzione lorda dal 2019 al 2024, comunque al 4,4% in Italia, al 2,6% in Francia e all’1,3% in Germania, mentre in Spagna si registra un guadagno del 3,9%.
Lato produttività del lavoro per occupato si osserva una riduzione determinata dal “risultato dell’espansione dell’occupazione maggiore rispetto a quella del valore aggiunto”.
Nel corso del 2024 la dinamica in volume del valore aggiunto segna un dato negativo nella manifattura (in controtendenza farmaceutica e chimica), un rallentamento delle costruzioni e dei servizi, mentre è tornata positiva l’agricoltura.
Produttività e valore aggiunto non uniformi in tutto il Paese, eccellono in questo i distretti industriali dell’Emilia-Romagna, della Lombardia e del Veneto con conseguente beneficio sulle retribuzioni e maggiori capacità di spesa.
Occupazione numericamente in crescita, con un tasso di disoccupazione al 6,5% per il 2024. Un’occupazione che però cresce verso quei settori a bassa produttività.
Fronte produzione industriale, in volume diminuisce del 4% rispetto al 2023. La media dell’Unione Europea è del -2,4%. Peggio di noi ha fatto la Germania con un -4,6%.
Quanto al reddito, emerge dal report che il 23,1% della popolazione è a rischio povertà o esclusione sociale; con una punta che sfiora il 40% al Sud.
Si assiste a una diminuzione del reddito da lavoro a fronte di un migliorato reddito familiare, ascrivibile ai cambiamenti demografici, da leggersi famiglie meno numerose.
Le coppie con figli superano di poco il 28%, mentre oltrepassano il 36% le persone sole. Siamo un Paese che invecchia, un quarto della popolazione è over 65 anni. Aumentano gli ottantenni che superano in numero i bambini con età inferiore ai 10 anni.
I due terzi della popolazione tra i 18 e i 34 anni continua a vivere in famiglia, ben lontani dalla media europea, prossima al 50%. Fenomeno riconducibile alla difficoltà di raggiungere indipendenza economica.
Emerge anche la difficoltà ad affrontare spese impreviste e ancor più grave segnala l’ISTAT, “un italiano su dieci ha riferito di aver rinunciato nell’ultimo anno a visite specialistiche, esami…”.
Lato istruzione non brilliamo nei confronti degli altri paesi europei per percentuale di diplomati e laureati.
Purtroppo, negli ultimi 10 anni quasi centomila giovani laureati sono emigrati, con una punta verso l’alto nel 2024.
Occorre investire nel capitale umano, dice Istat che “l’Italia continua a scontare un ritardo nella dotazione di capitale umano qualificato, che si riflette in una minor capacità di adozione delle tecnologie digitali che richiedono competenze specializzate”.
Se questa è la sfida, occorre un dialogo pubblico/privato per incentivare investimenti in ricerca, tecnologia, digitalizzazione e innovazione per garantire competitività, forse un nuovo 6.0.
Siamo un Paese capacissimo nella gestione dello straordinario, dovremo affinarci anche nell’ordinario. Nell’ordinario ci sta anche il compito di offrire una adeguata prospettiva a quei giovani che emigrano all’estero e che evidentemente formiamo adeguatamente; sono utili alla nostra causa.