In momenti di crisi il lavoro agile, o smartworking, è stato indispensabile per moltissime categorie. Affronta l’argomento il sociologo Domenico De Masi, che evidenzia pregi e difetti di questo tipo di iniziativa, criticando lo scarso entusiasmo del ministro Brunetta nell’utilizzare questo strumento nell’ambito dell’amministrazione pubblica.
«Come ho già ricordato altrove, Nicolas-Philibert Desvernois, generale napoleonico, era così focoso e impaziente che in ogni battaglia partiva in quarta senza attendere gli ordini di Bonaparte, col pericolo di pregiudicarne le vittorie. Napoleone lo rimosse per excèsd’entrépridité. Forse qualcosa del genere potrebbe capitare al ministro Brunetta che, nella Pa, sta facendo di tutto per azzerare lo smart working».
«Constatazioni analoghe valgono per l’ostracismo alla teledidattica (Dad) del ministro Bianchi. I dati sul lavoro agile nella Pa sono questi: su 3,2 milioni di dipendenti pubblici, nel marzo 2020 la ministra Dadone, per fare fronte alla pandemia e dare uno scossone alla macchina dello Stato, dovendo scegliere tra cassa integrazione e lavoro agile, saggiamente mise in smartworking 1,8 milioni di dipendenti (56,6%)», scrive su InPiù.net.
«Si tenga conto che, per sua natura, il lavoro agile può contribuire a risolvere molti problemi congeniti alla burocrazia: costringe a lavorare per obiettivi, riduce la microconflittualità, l’assenteismo, l’aggregazione di gruppi informali che si contrappongono al cambiamento, la resistenza alla digitalizzazione, la tendenza a ostacolare la circolazione delle informazioni, la carenza di spazi e di strutture, i tempi morti, le chiacchiere di corridoio. Tre mesi dopo l’arrivo di Brunetta, nel maggio scorso, i telelavoratori si erano già ridotti a 1,2 milioni (37,5%)».
«Oggi si applica la quota del 15% per cui il lavoro agile nella PA è consentito a un massimo di 500mila dipendenti. Invece molte aziende private hanno colto questi mesi di sperimentazione forzata del lavoro agile per condurre ricerche accurate sulla sua adozione in condizioni normali, per firmare accordi sindacali, per ristrutturare gli uffici e introdurre l’organizzazione per obiettivi. Quando la pandemia sarà passata, tutto ciò si tradurrà in una ulteriore divaricazione tra l’efficienza del settore privato e l’inefficienza del settore pubblico».
«Gli argomenti con cui Brunetta giustifica il suo accanimento contro lo smart working sono due: la salvaguardia della produttività che, a suo avviso, il lavoro agile ridurrebbe, e la salvaguardia dell’economia minacciata dai minori acquisti che i lavoratori farebbero nei negozi prossimi agli uffici. Quanto alla produttività, tutte le ricerche condotte durante questi mesi in aziende pubbliche e private dimostrano che, nelle mansioni effettivamente telelavorabili, lungi dal diminuire, essa è decisamente aumentata».
«L’Inps, che ha messo quasi tutto il suo personale in smart working, in 12 mesi ha evaso 15 milioni di pratiche aggiuntive ai 42 milioni di pratiche ordinarie. Quanto all’economia, il lavoratore che non mangia in ufficio e non fa acquisti nei negozi prossimi all’ufficio, mangia a casa e fa acquisti nei negozi prossimi all’abitazione».
«È vero che la mancanza di pendolarismo riduce l’uso di automobili, motorini e carburanti ma, in compenso, riduce gli ingorghi del traffico, il pericolo di contagi, i disagi nei trasporti pubblici, l’inquinamento, le spese per la manutenzione stradale, gli incidenti e i morti su strada. Se nelle prossime settimane la pandemia riprenderà a mordere, uffici pubblici e scuola dovranno tornare a lavoro agile e Dad. E il boicottaggio ministeriale dell’uno e dell’altra apparirà per quella che è: una forma sconsiderata di luddismo postindustriale».
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