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Educare significa anche dire “no”: riflessioni su giovani e smartphone | L’intervento di Gigi De Palo, presidente Fondazione per la natalità

In questi mesi, per ragioni personali (sono padre di cinque figli) e per motivi professionali (dirigo una fondazione che si occupa di giovani ed educazione), ho sentito l’urgenza di approfondire con serietà un tema che ci interpella tutti: educare i giovani all’uso dello smartphone e dei social.

Nei tanti incontri che facciamo con i ragazzi, spesso mi colpisce una cosa: quando si parla di limiti, di regole, di educazione, i giovani sembrano quasi spiazzati. Alcuni ammettono di non riuscire a stare senza telefono. Altri confessano che ormai lo smartphone è diventato una sorta di “protesi emotiva”, un rifugio dalla noia e dalla solitudine.

Ma educare non significa assecondare. Educare non è lasciare tutto libero. Educare significa anche dire “no”. Non per punire, ma per proteggere. Non per controllare, ma per aiutare a crescere.

Educare non è proibire: è accompagnare con verità

Il dibattito pubblico sull’uso dei social è spesso diviso tra due estremi: chi demonizza tutto e chi giustifica tutto. Ma la verità, come sempre, sta nel mezzo. Dobbiamo smettere di dividere il mondo in bianco o nero, buoni o cattivi, proibizionisti o permissivi. Serve equilibrio, e soprattutto, serve coraggio educativo.

Perché il punto non è solo lo smartphone, ma che adulti vogliamo aiutare a diventare questi ragazzi. E qui entra in gioco un principio fondamentale: non si educa senza dire anche qualche “no”.

Un “no” che, se detto con amore, diventa un atto educativo. Un “no” che costruisce consapevolezza, responsabilità, libertà autentica.

I dati ci parlano chiaro: serve una proposta concreta

Uno studio condotto dall’Università Bicocca su 6.600 studenti delle scuole medie mostra che il 70% degli 11enni usa già i social. E che l’uso precoce porta spesso a profilazioni commerciali, dipendenza da like, confronto continuo.

Allora serve una risposta concreta. Una proposta educativa che unisca famiglie, scuola e istituzioni. Dobbiamo smetterla di parlare solo di “nativi digitali”: abbiamo bisogno di “educatori digitali”, cioè adulti che sappiano accompagnare i giovani nel loro percorso di crescita.

La mia proposta: un’alleanza educativa vera

Cosa propongo? Un’alleanza educativa reale, fatta di:

  • Genitori formati e non lasciati soli
  • Insegnanti che abbiano strumenti aggiornati
  • Istituzioni che riconoscano il valore educativo del limite
  • Media e influencer che si prendano una responsabilità comunicativa

Dobbiamo smontare il mito che il divieto sia arretratezza. Vietare non significa essere contro i giovani, ma stare dalla loro parte, anche quando è scomodo. Un “no” detto con amore è molto più educativo di cento “sì” detti per paura.

Conclusione: non solo per loro, anche per noi

Educare oggi è più difficile di ieri. Ma proprio per questo è ancora più necessario. Serve uno scatto di responsabilità adulta. Non possiamo accettare che i nostri figli vengano educati da uno schermo.

Dobbiamo tornare ad abitare la relazione, lo sguardo, il dialogo. Dobbiamo educare con verità e amore, perché i nostri ragazzi possano diventare donne e uomini liberi, capaci di vivere il presente e il futuro non da spettatori, ma da protagonisti.

E allora sì, educare significa anche dire “no”. Ma con amore. Per costruire adulti felici, non solo adolescenti contenti.

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