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Ecco tutti i conti sbagliati di Trump | L’analisi di Riccardo Illy

Che i sistemi economici protezionistici, di cui i dazi sono uno degli strumenti attuativi principali, siano meno efficaci di quelli aperti si sa dai tempi di David Ricardo. Che visse a cavallo del ‘700 e ‘800 e dimostrò la sua tesi anche con la teoria dei vantaggi comparati.

L’umanità ne sperimentò le conseguenze durante la grande depressione del ‘29, causata oltre che dalla inadeguata gestione della liquidità da parte della FED, da una guerra commerciale avviata dagli USA e basata sui dazi.

Vale la pena di ricordare che prima della depressione, come nel secolo corrente, ci fu la pandemia della “spagnola” e che dopo scoppiò la Seconda guerra mondiale. Speriamo che questa volta non si vogliano ripetere tutte e tre le sciagure, limitando le guerre a quella in Ucraina e di Gaza.

La guerra commerciale scatenata da Trump si basa su assunti e rincorre obiettivi quantomeno contraddittori. Trump confonde per esempio l’IVA, che è neutrale per i beni importati e quelli domestici, con un dazio; cosa che non è assolutamente.

Si concentra inoltre solo sul disavanzo della bilancia dei pagamenti dei beni, decisamente passiva, dimenticando che quella dei servizi è invece ampiamente attiva, anche se non in grado di compensare interamente la prima.

E che il dollaro è la valuta di riserva globale che consente, anche a causa del disavanzo della bilancia dei pagamenti, di finanziare il forte indebitamento americano; sia privato sia, negli ultimi anni, pubblico.

Trump vuole usare i dazi per ridurre le tasse ai cittadini, che con una mano pagheranno prezzi maggiorati dai dazi per i beni d’importazione e con l’altra pagheranno meno imposte. Ben che vada un gioco a somma zero.

Trump vuole inoltre riportare negli USA produzioni manifatturiere che ritiene siano state scippate a quel paese; non considera che la disoccupazione è già sotto il livello fisiologico e che trovare lavoratori da assumere è già un’impresa. Figuriamoci quando avrà deportato qualche milione di immigrati irregolari. Dove troveranno i lavoratori da assumere le imprese che decideranno di produrre in USA?

Trump vuole inoltre fermare l’immigrazione, soprattutto dal Messico; costringere a chiudere molte fabbriche messicane, soprattutto nell’automotive, con conseguenti licenziamenti e ciò non contribuirà a ridurre la pressione migratoria da quel paese.

Altro obiettivo è ridurre l’inflazione, promessa che ha contribuito grandemente alla sua vittoria elettorale. Ma i dazi, lo sanno anche gli studenti del primo anno di economia, fanno lievitare l’inflazione. Trump vuole infine un dollaro debole per favorire le esportazioni americane; anche su questo punto otterrà probabilmente l’effetto opposto. Più inflazione porta infatti a tassi più alti, non più bassi.

L’aumento dei tassi si sommerebbe alla perdita di fiducia nei confronti degli USA dovuto al comportamento estemporaneo del suo Presidente. Con la possibile conseguenza di far perdere al dollaro il ruolo di valuta di riserva e di scambi globale.

In conclusione, è probabile che quello di Trump sia solo il più grande bluff della storia dell’umanità, con l’unico obiettivo di negoziare i dazi con gli altri Stati da un punto di forza. In caso contrario, è facile prevedere un disastro globale, recessione inclusa, del quale proprio gli USA pagherebbero il conto maggiore.

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