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Vitalizio più pensione non è un diritto ma un privilegio | L’analisi di Maurizio Belpietro

Maurizio Belpietro sulla Verità commenta la richiesta di alcuni ex parlamentari di ripristinare i vitalizi.

“I padri costituenti – scrive – introdussero i vitalizi proprio per evitare che solo gli esponenti dei cosiddetti ceti abbienti si potessero candidare. Un operaio lascia il posto retribuito per entrare in Parlamento, ma ha bisogno di poter continuare a mantenere la famiglia e una volta ritiratosi non può essere penalizzato rispetto a chi è rimasto in fabbrica. Fin qui credo che tutti siano d’accordo: chi si candida sceglie di fare il servitore della patria, non il fesso.

Il problema, rispetto a ciò che concordarono i padri costituenti, è però ciò che è venuto dopo, non solo con gli aumenti che hanno reso l’appannaggio parlamentare uno stipendio di lusso, che nulla ha a che fare con le retribuzioni medie, ma anche con tutte le norme che hanno trasformato i compensi degli onorevoli in privilegio di una Casta.

Anni fa – ricorda Belpietro – pubblicai un’inchiesta in cui misi a confronto i contributi versati da deputati e senatori e i soldi ricevuti sotto forma di pensione.

Deputati e senatori, mentre sedevano in Parlamento, potevano continuare a svolgere l’attività precedente, mantenendo quindi il reddito iniziale e anzi aumentandolo grazie all’appannaggio parlamentare. Fino a un certo punto questo era consentito anche ai dipendenti pubblici.

Il discorso non vale solo per i dipendenti pubblici, bensì anche per i liberi professionisti. Anzi, più per i liberi professionisti, in quanto un dipendente pubblico deve essere collocato in aspettativa e dunque non percepisce lo stipendio (ma percepirà la pensione), mentre – conclude – un avvocato, un medico che faccia la libera professione o un giornalista può continuare tranquillamente a fare il proprio mestiere e ricevere il relativo compenso perché non ha un obbligo di presenza, né un vincolo di orario, in Parlamento o in ufficio.”

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