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Ue, dazi ed energia. Ecco il ‘piano’ Orsini | L’analisi

Un’Europa più incisiva, più unita, libera dal cappio della burocrazia che depotenzia gli investimenti. Una piattaforma per l’export per raggiungere nuovi mercati e tenere testa alla prova di forza imposta da Trump sui dazi. Un piano industriale italiano, da declinare in una versione europea.

Il rilancio della produttività, al palo da oltre due anni, e la soluzione al problema dei problemi che lega le mani alle imprese nazionali: il costo dell’energia.

Saranno questi i temi che il presidente di Confindustria, Emanuele Orsini, metterà in fila martedì dal palco dell’assemblea pubblica, che quest’anno vedrà due debutti: Bologna, scelta come sede dell’assise al posto del tradizionale Auditorium Parco della Musica di Roma, e l’intervento della presidente del Parlamento europeo, Roberta Metsola.

Valorizzazione dei territori e Ue sono, infatti, i due cardini della visione entro cui si dovrà giocare, per il numero uno di viale dell’Astronomia, la nuova partita industriale in un contesto globale profondamente cambiato dalle guerre in corso e dalla politica internazionale del nuovo presidente Usa.

Ad ascoltare le considerazioni finali di Orsini – ad un anno dall’elezione – una platea di imprenditori, politici, economisti e sindacalisti di alto profilo che potrebbe superare i 2mila partecipanti. Tra questi, la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, che parlerà dal palco, e il ministro delle Imprese, Adolfo Urso; i leader dei partiti dell’opposizione, fra cui Elly Schlein del Pd e Carlo Calenda di Azione, mentre sembra incerta la presenza di Matteo Renzi, Italia Viva, ed esclusa quella di Giuseppe Conte del M5S; i tre segretari generali di Cgil, Maurizio Landini, Uil, Pierpaolo Bombardieri, e Cisl, Daniela Fumarola.

Calma e coraggio sono le due parole che l’Unione Europea, secondo Orsini, deve tenere davanti agli occhi in un contesto geopolitico dove le alleanze storiche iniziano a scricchiolare.

I continui annunci sulle tariffe dell’amministrazione americana – l’ultimo di pochi giorni fa che paventa dazi al 50% per i prodotti europei dal 1° giugno – spaventano le aziende. L’Italia, ha ricordato nei giorni scorsi il presidente, esporta “65 miliardi di prodotto, con un saldo positivo di 39 miliardi: gli Usa sono un partner obbligatorio”.

Gli stop-and-go di Trump, tuttavia, creano incertezza, azzoppano i mercati, affossano la fiducia degli imprenditori e, quindi, lo slancio dell’impresa. Serve sangue freddo per non bruciare miliardi in borsa, ma serve anche la capacità di reagire negoziando in modo rapido e incisivo con Washington su difesa, energia e big tech.

“Lo chiederemo con forza in assemblea a Meloni e Metsola”, ha ribadito.

Allo stesso tempo però, l’Europa deve allargare i propri orizzonti, cercando nuovi mercati e velocizzando gli accordi, tra cui il Mercosur, su cui gli industriali stanno infatti spingendo.

E proprio in quest’ottica si colloca la Piattaforma che sarà presentata martedì, dedicata all’export italiano, che può arrivare, secondo Orsini, a superare il proprio record di 626 miliardi.

Per farlo però serve, appunto, coraggio. L’Unione Europea, lo ha ripetuto spesso il presidente, deve cambiare marcia sull’industria, rivalutare le scelte fatte in passato che l’hanno rallentata o danneggiata.

La produzione è in calo da 26 mesi e il timido +0,1% di marzo rispetto a febbraio sconta una più ampia flessione sull’anno, pari all’1,8%, che non risparmia nessun macro-settore, colpendo più duramente moda e trasporti.

Una congiuntura economica complessa, che si può affrontare solo attraverso “una visione”. Tradotto: “Un piano industriale del Paese, da trasmettere poi in un piano industriale europeo”; richiesta che Confindustria girerà infatti al governo italiano, a Meloni e Urso.

I punti cardine, credibilmente, saranno quelli ribaditi più volte da viale dell’Astronomia: ripensare la politica sull’automotive, una burocrazia più snella che non freni il passo delle imprese e gli investimenti, ragionare sul tema degli Ets, cioè lo scambio e la vendita dei certificati sulle emissioni di Co₂, per eliminare il “mostro” della speculazione che mette numerosi settori, tra cui l’acciaio, fuori mercato.

E poi, il problema, quello più urgente: il costo dell’energia, che pesa sulle imprese italiane molto più delle cugine europee.

Secondo i dati degli industriali, il gap del nostro Paese con la Germania è superiore al 30%, all’80% con la Spagna e al 78% con la Francia. In queste condizioni, l’industria italiana, di fatto, non può competere.

Una questione che ha radici profonde e su cui si continua ad attendere un intervento dell’esecutivo. Era stato promesso nell’ultimo decreto bollette, ma l’epilogo non era stato felice. Al varo del provvedimento, il giudizio di Confindustria era stato secco: “Si è persa un’altra occasione utile per intervenire in maniera efficace”.

Gli industriali lamentavano l’assenza delle numerose proposte “a costo zero” avanzate in sede di confronto, perse “tra emendamenti dichiarati inammissibili, inviti al ritiro e l’assenza di pareri da parte dei ministeri competenti”, irritando Palazzo Chigi.

Ma la polemica sembra essere rientrata dopo la rassicurazione della premier di concentrare gli sforzi di governo sul meccanismo di formazione dei prezzi. Una posizione su cui lo stesso Orsini ha espresso apprezzamento.

L’intervento prioritario resta il disaccoppiamento del prezzo dell’energia elettrica da quello del gas.

Accanto, l’estensione anche alle pmi industriali della riduzione degli oneri di sistema, fornire energia alle imprese con contratti a lungo termine da parte del Gse, eliminare lo spread esistente tra il mercato europeo e quello italiano del gas, la rimozione dei vincoli per installare impianti rinnovabili sulle aree industriali posti dal dl agricoltura.

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