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Ue: da SuperMario la cura da cavallo di cui l’Europa ha bisogno | L’intervento di Marcello Clarich, ordinario di Diritto Amministrativo Università La Sapienza

Red tape e regulatory barriers sono termini ricorrenti nel Rapporto Draghi sul futuro della competitività europea presentato il 10 settembre.

Costituiscono infatti uno dei maggiori ostacoli all’innovazione che vede l’Europa perdente soprattutto nei confronti degli Stati Uniti.

I due temi sono trattati nella parte finale del Rapporto dedicata alle politiche orizzontali, che hanno cioè un impatto su tutte le politiche settoriali (energia, trasporti, settore farmaceutico eccetera).

Il problema di fondo è che il business landscape nel quale operano le imprese in Europa è complicato e frammentato, tale da scoraggiare gli investimenti e da penalizzare la crescita delle nuove imprese.

Per esempio, oltre 370 atti normativi regolano l’utilizzo delle tecnologie e le reti digitali.

In sede di recepimento delle regole europee gli Stati nazionali hanno poi il vizio del gold plating, cioè di appesantirle ulteriormente, sotto la spinta di pressioni nazionali.

L’applicazione dei principi in materia di concorrenza da parte della Commissione Europea scoraggia la cooperazione tra le imprese che invece, a certe condizioni, può essere fondamentale per l’innovazione.

Ma al di là di una diagnosi così negativa, il Rapporto contiene proposte che dovrebbero impegnare le istituzioni europee già nella fase di avvio della nuova legislatura.

Il Rapporto ribadisce anzitutto l’esigenza di attuare l’Unione dei Mercati dei Capitali (Capital Markets Union) già sottolineata qualche mese fa dal Rapporto Letta sul futuro del Mercato unico europeo.

Occorre cioè non solo armonizzare le normative nazionali, ma anche accentrare i poteri di vigilanza e regolazione in capo all’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati (Esma) che oggi ha soltanto funzioni di coordinamento dei regolatori dei singoli Stati membri.

Si tratta cioè di replicare la riforma approvata dieci anni fa con l’attribuzione alla Banca Centrale Europea della vigilanza sui principali intermediari bancari.

Sul versante della produzione normativa, l’Europa deve ripensare le priorità e concentrarsi su ciò che è veramente essenziale, applicando in modo più rigoroso il principio di sussidiarietà.

Agli Stati membri vanno restituiti dunque molti ambiti di intervento ed essi devono comunque usare tutti gli strumenti già disponibili per contrastare la tendenza all’iper-regolazione europea.

Il confronto con gli Stati Uniti fa riflettere.

Secondo il Rapporto, dal 2019 al 2024 a livello federale sono stati approvati circa 3.500 testi legislativi.

Nello stesso arco di tempo in Europa sono stati approvati 13.000 atti normativi.

Se a ciò si aggiungono quelli approvati dai singoli Stati membri lo stock di regole è abnorme.

Il Rapporto cita il caso della Danimarca nel quale il numero di atti normativi europei e nazionali è aumentato del 63% dal 2001 al 2023.Va anche presa di petto la regola dell’unanimità prevista per molte votazioni all’interno del Consiglio dell’Unione Europea.

Il veto di alcuni Stati ha impedito, per esempio, l’approvazione nel 2008 della European Private Company, un modello di società che poteva essere scelto in alternativa a quelli previsti dalle legislazioni nazionali.

In ogni caso, una strada da imboccare con più decisione è quella della cosiddetta cooperazione rinforzata, già oggi ammessa dai Trattati, che consente ad alcuni Stati membri di adottare regole comuni, salva la possibilità degli altri Stati di aderire in un momento successivo.

Ciò è accaduto, per esempio, con il Fiscal Compact sottoscritto nel 2013 e poi integrato nel corpo del diritto europeo.

La semplificazione delle regole dovrebbe anche essere mirata a ridurre il carico degli oneri amministrativi che gravano sulle imprese, sotto forma di documentazione da produrre nell’ambito dei procedimenti autorizzatori, oppure di relazioni periodiche e di altre informazioni da elaborare e inviare alle autorità amministrative.

Un’attenzione particolare deve essere rivolta alle piccole e medie imprese sulle quali questi costi incidono in misura proporzionalmente maggiore.

Il Rapporto cita come settori critici le normative su privacy, rifiuti e imballaggi.

Il Rapporto dedica alcune pagine all’applicazione delle regole in materia di concorrenza e di aiuti di Stato che sono certamente necessarie per garantire parità di condizioni tra le imprese (level playing field), ma che possono frenare il potenziale dell’innovazione.

In particolare in sede di controllo sulle concentrazioni occorre valutare non solo gli effetti dell’operazione sui prezzi, ma anche l’innovazione e gli assetti competitivi nel più lungo periodo.

L’Europa richiede dunque una cura da cavallo, ma il dubbio, giustificato già dalle prime reazioni, è se si troveranno i consensi necessari per somministrarla.

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