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Ubaldo Livolsi: “Le spese militari posso diventare da onere finanziario a leva strategica per l’industria”

“L’Italia si è impegnata, in linea con gli obiettivi della Nato, a portare le spese per difesa e sicurezza al 5% del Pil entro il 2035.
Si tratta di un traguardo ambizioso, che secondo le stime richiederà un aumento annuo della spesa pubblica tra i 6 e i 7 miliardi di euro, con un impatto cumulato di oltre 75 miliardi nei prossimi dieci anni.
Un’enormità per un Paese con un debito pubblico atteso in crescita, secondo le previsioni della Commissione europea, dal 135,3% del Pil nel 2024 al 136,7% nel 2025, e soggetto ai rigidi vincoli del Patto di Stabilità europeo, tornati in vigore dal 2025”
, inizia così la riflessione di Ubaldo Livolsi, professore di Corporate Finance e fondatore della Livolsi & Partners S.p.A..

“Il primo tema da valutare – spiega – è la tenuta finanziaria: se le risorse verranno sottratte a welfare, istruzione, sanità o immobilizzate da spesa corrente senza crescita strutturale, rischiamo un indebolimento della coesione sociale e l’aumento del rischio sul debito sovrano.
Del resto, il debito pubblico italiano ha già superato i 3.060 miliardi di euro, raggiungendo il massimo storico di 3.063,5 miliardi ad aprile 2025, secondo i dati della Banca d’Italia.
Un livello che comporta inevitabili ripercussioni sui tassi d’interesse in caso di deterioramento del rating.
Per evitare che la spesa militare diventi un peso improduttivo, è necessaria una visione che la trasformi in opportunità industriale”
.

“Il potenziamento delle filiere duali (civili e difesa), la R&D e le collaborazioni nell’ambito di programmi come Gcap (Global Combat Air Programme) con Regno Unito e Giappone rappresentano un volano credibile – aggiunge LivolsiL’Italia può contare su un tessuto industriale della difesa di eccellenza, come Leonardo (che prevede oltre 6,6 miliardi di potenziali ordini aggiuntivi per ogni +1% di spesa difensiva europea), Fincantieri, Avio Aero, **Mbda”.

“L’Unione europea, dal canto suo – prosegue – sta muovendo i primi passi concreti.
Il piano ‘Readiness 2030’ – inizialmente presentato con il nome ‘ReArm Europe’ – promosso dalla Commissione europea e sostenuto dal Consiglio, prevede fino a 800 miliardi di euro di investimenti entro il 2030, anche attraverso il coinvolgimento della Banca europea per gli investimenti con strumenti analoghi al Next Generation Eu”
.

“Due, in conclusione, sembrano gli elementi importanti.
Da un lato, più che aumentare la spesa, è importante investirla con una visione strategica e di lungo periodo, trasformando la difesa da esigenza geopolitica in motore per l’innovazione, la competitività e la sicurezza del Paese.
Dall’altro lato
– chiosa Livolsitutto questo deve rappresentare un primo passo verso la costruzione di un esercito europeo realmente integrato e autonomo, svincolato dalla dipendenza dagli armamenti statunitensi”.

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