Dopo secoli di storia e di eccellenza artigiana, il panno del Casentino – il celebre tessuto arancione e verde che ha vestito contadini e re, monaci e dive del cinema – non si produrrà più. La Manifattura del Casentino ha annunciato la chiusura definitiva dell’attività entro trenta giorni, mettendo fine a una tradizione che affonda le sue radici nel Medioevo.
Una notizia che scuote la comunità del Casentino e che ha spinto il sindaco di Bibbiena, Filippo Vagnoli, a lanciare un accorato appello alla Regione Toscana per l’attivazione immediata di un tavolo di crisi. “La comunicazione arrivata questa mattina è un colpo durissimo per il territorio e per la nostra storia produttiva – ha dichiarato Vagnoli -. Non è un fulmine a ciel sereno: da mesi avevamo segnalato alla Regione la gravità della situazione, chiedendo interventi concreti. Ora il tempo è poco, ma non tutto è perduto”.
La chiusura della Manifattura del Casentino comporterà il licenziamento degli ultimi tredici dipendenti, segnando di fatto la fine dell’attività produttiva a Soci, dove lo storico panno veniva ancora rifinito con i macchinari originali. Il sindaco non si arrende: “Propongo di salvare almeno una parte della produzione, quella della rifinizione, per mantenere vivo un presidio identitario e artigianale. Serve un’azione rapida, concertata, con un piano di rilancio realistico”.
Anche il sindacato Filctem Cgil ha espresso amarezza, parlando di “fallimento del tentativo di rilancio” di un marchio che, nonostante il suo valore, non è riuscito a reggere la concorrenza e la crisi del comparto tessile tradizionale.
Il panno del Casentino è molto più di un tessuto: è un frammento di storia toscana. Nato come “panno grosso” per i saii dei monaci francescani e camaldolesi, era apprezzato per la sua robustezza e impermeabilità, garantite da lavorazioni come la follatura, la garzatura e la celebre ratinatura, che crea il caratteristico effetto “riccioluto”. Tra i suoi colori simbolo spiccano l’arancio “becco d’oca”, nato da un errore di tintura nel XIX secolo, e il verde bandiera, entrambi diventati iconici.
Nel tempo, il panno ha superato i confini delle botteghe di Stia e Soci per conquistare aristocratici, artisti e stilisti internazionali. Lo indossarono Bettino Ricasoli, Giuseppe Verdi e Giacomo Puccini, poi Audrey Hepburn in Colazione da Tiffany. È stato reinterpretato da Roberto Cavalli, Pierre Cardin e Gianfranco Ferré, fino a essere scelto nel 2022 da Re Carlo III d’Inghilterra per un cappotto su misura.
Oggi, il Museo dell’Arte della Lana di Stia custodisce la memoria di questa eccellenza toscana, testimoniando un legame secolare tra territorio, artigianato e cultura. Ma il rischio, ora, è che la tradizione si riduca a un ricordo. “Il panno del Casentino è parte della nostra identità – conclude il sindaco Vagnoli -. Abbiamo il dovere di tentare ogni strada possibile per non disperdere questo patrimonio. Un mese è poco, ma se c’è la volontà di tutti, forse possiamo ancora salvare un pezzo della nostra storia”.








