Il ministro Urso ha parlato di straordinario successo per Transizione 5.0 annunciando la nuova versione della misura con l’arrivo del 2026 e le oltre 700 domande arrivate negli ultimi giorni.
I numeri veri, al contrario, mostrano un clamoroso flop del principale programma di sostegno agli investimenti.
Nonostante il rush finale, le risorse impegnate si sono fermate a 2,9 miliardi su una dotazione di 6,3 miliardi e quelle spese superano di poco i 500 milioni.
Il passaggio alla Nuova Transizione 5.0 è avvenuto poi con modalità discutibili.
Lo scorso 7 novembre un decreto direttoriale annunciava l’esaurimento delle risorse a 2,5 miliardi, e le domande dal giorno successivo fino al 31 dicembre sarebbero state registrate, ma senza alcuna garanzia di accedere alla misura.
La soluzione prospettata dal governo è che tali richieste saranno le prime ad essere valutate con la Nuova Transizione 5.0 prevista in legge di bilancio, ma il cui meccanismo è profondamente diverso.
La misura ancora in vigore, anche se virtualmente, poggia sul credito d’imposta, mentre da gennaio si torna al super-ammortamento.
Il problema (dati della Ragioneria generale), è che nel passaggio dal credito d’imposta al super-ammortamento, la platea delle imprese potenzialmente beneficiarie si riduce del 40%.
Non solo, il super-ammortamento differisce il beneficio nel tempo e per il 2026, (da relazione tecnica del Mef), le risorse impegnate sono qualche decina di milioni.
Il credito d’imposta, invece, è immediatamente utilizzabile in compensazione o cedibile a terzi indipendentemente dal reddito imponibile.
O meglio, era utilizzabile. La legge di bilancio, a sorpresa, introduce il divieto di usare i crediti d’imposta in compensazione, limitazione finora prevista solo per le banche.
Altri elementi di criticità della Nuova Transizione 5.0 sono il limitato periodo di validità (il 2026 con possibilità di arrivare a giugno 2027 a condizione che l’impresa abbia sottoscritto l’ordine di acquisto entro l’anno prossimo e abbia versato al fornitore almeno il 20% dell’importo) e il mancato aggiornamento (allegati A e B) della tipologia di beni ammissibili.
Sembra che il sistema di incentivazione per sostenere gli investimenti delle imprese sia ormai vittima della sindrome del Superbonus.
Il governo stanzia risorse, ma poi le rende poco accessibili, cambiando i requisiti e le procedure e concedendo poco tempo alla programmazione delle imprese.
Poi se le misure si rivelano un flop si può sempre dire che è colpa del “cavallo che non beve”.








