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Joseph Stiglitz (premio Nobel Economia): «La sospensione dei brevetti per i vaccini è necessaria per accelerare la produzione e assottigliare le diseguaglianze»

«È ormai accertato a ogni livello che il Covid ha esacerbato le diseguaglianze in tutto l’occidente a partire dall’America. Ora dobbiamo evitare che la fame di profitti delle aziende non prolunghi ancora la pandemia». Lo afferma, in una intervista a Repubblica, il Premio Nobel Joseph Stiglitz, già capo del consiglio economico di Bill Clinton, ospite del Festival dell’Economia di Trento in programma dal 3 al 6 giugno.

«È indispensabile – come dimostrano scienziati, demografi, economisti sotto ogni latitudine – che si sospendano i brevetti» afferma. «Se restiamo nelle mani di un pugno di aziende, che hanno una ovviamente limitata capacità di espandere la produzione, non ce la faremo mai ad avere i 10-15 miliardi di dosi che servono per vaccinare il pianeta e chiudere così questa drammatica partita. Biden aveva cominciato bene, annunciando di avere già il consenso di cento Paesi (fra cui l’Italia, ndr) per svolgere presso la World Trade Organization le necessarie pratiche. Non deve perdere questo slancio».

Cos’è che genera cautela?

«Legioni di lobbisti di Big Pharma stanno intasando i corridoi del Congresso per bloccare l’iniziativa. Se solo l’industria avesse messo tanto impegno nell’incrementare la produzione di vaccini quanto quello che sta mettendo nell’inventarsi argomentazioni speciose a sostegno del proprio oligopolio, saremmo un bel passo avanti. Gli interessi in gioco sono spaventosi. C’è una controprova: quando Biden ha annunciato di voler chiedere la sospensione, i titoli in Borsa delle aziende interessate sono crollati».

Ma il governo americano aveva finanziato la ricerca oppure no, come sostiene il CEO di Pfizer?

«L’aveva finanziata, e continua a farlo, se non altro indirettamente: garantendo cioè in partenza l’acquisto di enormi quantitativi di fiale con i relativi profitti. Ma è giusto che siano coinvolti, quello americano come gli altri governi. Non devono pero perdere di vista l’obiettivo: produrre tutti i vaccini che servono in tempi strettissimi”.

L’America ha riscoperto l’intervento pubblico anche dal punto di vista dei sussidi d’emergenza. È stato risolutivo per la ripresa economica?

«Sicuramente. Altrimenti non ci saremmo rialzati da una crisi così profonda e repentina. Non era mai successo nella storia che la produzione industriale perdesse il 13 per cento in un solo mese, come è accaduto nell’aprile 2020. Ma non era neanche mai successo che il governo federale iniettasse tanta liquidità per sussidi e contributi alla rinascita».

La Federal Reserve dice che il tasso di risparmio degli americani non è mai stato così alto….

«Certo, ma è dovuto a una serie di fattori, non solo ai presunti aumenti di reddito. Veniamo da molti mesi in cui non si è andati al ristorante, al cinema, allo stadio. Tutti soldi risparmiati. Una famiglia che aveva messo da parte i fondi per un viaggio non ha potuto spenderli e sono rimasti in banca. Attenzione: tutto ciò lascia ben sperare per la ripresa perché questi soldi saranno riversati in consumi, la componente più importante dell’economia. Non a caso, i centri studi prevedono una crescita fra il 6 e l’8 per cento nel 2020. È un vero rilancio: evitiamo che vada a beneficio di pochi».

Con Biden non c’è stato un cambio di passo?

«Certo, il cambiamento è sostanziale rispetto a Trump, che ha picconato per tutti i suoi anni la riforma sanitaria di Obama laddove cercava di allargare un po’ l’assistenza pubblica, ha abbassato le tasse sui ricchi e alzato di fatto quelle sui poveri, è arrivato perfino a coalizzarsi con i Paesi a lui affini politicamente per bloccare sul nascere qualunque negoziato sulla sospensione del brevetto per i vaccini. Ora su tutti questi problemi, che il nuovo presidente sta affrontando con il taglio giusto, si deve cambiare fino in fondo»

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