“Il conto alla rovescia da qui al 5 novembre sembra non finire mai”.
Così Federico Rampini sul Corriere della Sera osservando che “l’Europa lamenta un vuoto di potere Usa perché i suoi effetti si soffrono in due tragiche guerre – Medio Oriente e Ucraina – ben più vicine ai confini italiani o tedeschi, di quanto lo siano a New York e Los Angeles.
L’influenza di Biden su Netanyahu è modesta anche perché ogni attore della geopolitica fa le sue scommesse sul dopo-elezioni.
L’offensiva di Putin mette alle strette Zelensky senza che ci sia una exit strategy, un piano d’uscita chiaro alla Casa Bianca, mancano leadership e indicazioni dal principale sostenitore della resistenza ucraina.
Ma per un momento è utile rovesciare la prospettiva.
Quindi chiedersi: come appare l’Europa vista dagli Stati Uniti?
Risposta: un disastro, e peggio che in passato.
I tre Paesi storicamente importanti, Germania Francia Inghilterra, hanno governi di una debolezza senza precedenti.
Il Rapporto Draghi – sottolinea l’editorialista – ha lanciato un allarme già dimenticato.
Berlino ha appena rotto la solidarietà europea verso la pressione cinese, votando contro i dazi sulle auto elettriche made in China (segnale di divisione pericoloso).
L’Italia fa eccezione per la stabilità di governo.
Però non è mai stata vista da Washington come un peso massimo.
Inoltre la persistente debolezza negli investimenti italiani per la sicurezza (è uno degli ultimi paesi Nato ancora inadempienti sul 2% del Pil da destinare alla difesa) non aumenta la sua influenza.
Visto dalla Casa Bianca e dal Pentagono il governo Meloni dice le cose giuste ma non ne trae tutte le conseguenze, neppure quando il Mediterraneo è una polveriera.
Illudersi che Kamala Harris aggiusterà tutto, richiede di sorvolare su alcuni dati di fatto.
Il bilancio dei «competenti democratici al comando» è un mondo in fiamme.
Un futuro disimpegno Usa in qualche misura è inevitabile: per ragioni finanziarie, e per dare priorità alla sfida cinese.
Inoltre gli americani hanno il vizio di votare ogni due anni, fra Congresso e presidenza, per cui aggrapparsi al colore politico del vincitore di turno non è garanzia sempiterna.
Infine – conclude – si ignora una metà del problema, quella europea.
Diventare meno dipendenti dalla protezione americana costa”.








