Non è mica vero che il lockdown ha intristito le città e ne ha immalinconito gli abitanti. O meglio, non è del tutto vero. Una parte di cittadini – sospetto una larga parte – ne ha anzi apprezzato i silenzi, la quiete improvvisa, quasi irreale. Credo addirittura che in certi quartieri molti abitanti abbiano letteralmente scoperto un’altra città. Della serie: ma quindi si potrebbe vivere anche così?
Ora, questa cosa è tanto più vera in quei pezzi di città e nei quartieri che da anni sono preda di quel fenomeno che ormai va sotto il nome di “movida”, ma che si potrebbe tradurre in “zona franca”, dove spesso le normali regole della civile convivenza vengono sospese in nome di una “libertà” che consiste – come diceva una vecchia e indimenticata gag di Corrado Guzzanti – “nel fare un po’ come cazzo ci pare”.
Il che, tradotto, equivale a urlare, spargere bottiglie e di tanto in tanto a fracassarne anche qualcuna, arrivare e partire in auto-moto-motorino come se si fosse a un rally, cantare a squarciagola con cori da stadio e – perché no – menarsi pure, un po’ per scherzo e un po’ sul serio. Questa è la movida nella sua declinazione estrema ma tutt’altro che rara, un fenomeno che i più tolleranti definiscono “bisogni elementari di socializzazione” e quelli meno generosi bollano come “intollerabile casino”.
Che cos’ha fatto il lockdown? Per alcune settimane ha azzerato tutto questo. È stato un male? Certamente in molti casi ha avuto conseguenze molto dannose, specie per i commercianti e i gestori di locali pubblici. Altri danni? Beh, i ragazzi che di solito affollano le piazze e le strade sono stati costretti a stare in casa e fare altro: chattare con gli amici, guardare un film, magari leggere un libro… Come tutti noi. Come tanti altri in tutto il mondo. I rianimatori degli ospedali osserverebbero giustamente: hanno evitato di infettare e di infettarsi.
Nel frattempo, grazie al coprifuoco imposto dal lockdown, milioni di persone hanno recuperato un po’ di sonno. Hanno ascoltato suoni e rumori che avevano dimenticato perché cancellati dal “movida sound”. Hanno capito che un’altra convivenza è forse possibile. Hanno, per dirla proprio tutta, recuperato alcuni diritti sanciti dalle leggi.
Ecco che quando scienziati, medici e politici hanno puntato il dito contro gli “assembramenti”, i famigerati assembramenti, l’equazione è stata immediata. Movida = Assembramenti. E quindi a molti non è sembrato vero di calcare la mano sulla potenziale pericolosità dell’aperitivo, del drink post serale, della calca giovanile senza protezioni e distanziamento sociale da cui potrebbero scaturire centinaia, migliaia di potenziali untori. Il presidente del Veneto Luca Zaia, che notoriamente non è uno che se le tiene dentro, ai giovani accalcati ha dato appuntamento “davanti all’ospedale”. E molti altri hanno giustamente rilevato che movida e distanziamento sociale sono semplicemente antitetici.
Ma la crociata anti-movida, ammantata di giusta prudenza anti-Covid, in realtà ha più facce e nasconde anche un disagio che nasce da molto più lontano: quello di migliaia di abitanti di quartieri e zone dei centri storici letteralmente assediati da un fenomeno che negli anni – in nome di una tolleranza spesso incomprensibile – ha visto consegnare al caos strade e piazze dove un mix di menefreghismo e inconsapevole barbarie ha trasformato angoli storici in orinatoi, alberi in superfici da incidere, panchine in oggetti da divellere e selciati in luoghi dove lasciare tracce organiche di ogni genere. La chiamano “movida incontrollata”: se ce ne sia una più “controllata” non so dirlo…
Questo è esattamente ciò che è accaduto in moltissime delle nostre città, e non volerlo vedere non ci rende più moderni, non ci avvicina ai giovani, ma ci rende semplicemente corresponsabili di un’opera di diseducazione che non fa bene a nessuno, né alla società né alle famiglie. Un “lasciar andare” in cui lassismo e mal risposta tolleranza evitano di costringersi a pensare. Pensare cosa? Per esempio a forme più civili di convivenza. Da questo punto di vista il lockdown ha acceso un faro sul problema ma, come spesso succede, per la soluzione si imboccano vie traverse: quindi fuoco sulla movida in quanto assembramento pericoloso per l’emergenza Covid.
Ma prima o dopo – si spera presto – l’emergenza finirà del tutto e con essa finiranno (o si ridurranno drasticamente) alcune norme di contenimento. Questo significa che il fenomeno movida riprenderà più forte ed esplosivo che pria? È una prospettiva verso la quale bisognerebbe lavorare fin da subito. Come? Regole e soluzioni che non deprimano la normale voglia dei giovani di stare insieme ma al tempo stesso evitino di massacrare strade, piazze e centri storici, oltre a condizionare pesantemente le vite di tante persone che per la movida non hanno tempo perché all’alba devono alzarsi per andare a guadagnarsi il pane e magari, in alcuni casi, a salvare delle vite umane.








