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Se la pace conta meno | L’analisi di Antonio Polito

L’intifada italiana. Così il sito ArabNews ha descritto l’ondata di proteste pro Pal in corso nelle nostre città.

La definizione – osserva Antonio Polito sul Corriere della Sera – coglie bene l’eccezionalità di quanto sta succedendo da noi.

Non solo rispetto alla solidarietà per altre cause internazionali, mai così vasta e accesa, certamente non per un’altra nazione invasa, l’Ucraina. Ma anche di fronte al resto d’Europa, dove la vicenda della Flotilla non ha suscitato la subitanea rabbia vista ieri sera nei cortei improvvisati.

Perché? Certamente c’è nel nostro Paese un profondo sentimento di sconcerto per il massacro compiuto dalle forze armate israeliane a Gaza, e un moto di generosa solidarietà col suo popolo martoriato.

Ma su quell’indignazione si è innescato qualcosa di più: un fattore interno. E cioè il tentativo di rovesciare sul governo di centrodestra la colpa della tragedia palestinese, definita addirittura «complicità» con ciò che ormai comunemente, ma impropriamente, viene chiamato «genocidio» (si può odiare un immane massacro di civili e bambini con tutte le proprie forze anche senza paragonarlo all’imparagonabile).

E a nulla è valsa la rapida conversione del governo Meloni (leggono i sondaggi anche a Palazzo Chigi) che ora condanna senza più se e senza ma le scelte di Netanyahu, fino all’ipotesi di considerare il riconoscimento condizionato dello Stato di Palestina.

Che senso avrebbe altrimenti, in segno di protesta contro il blocco navale di 50 italiani sulla Flotilla, tentare il blocco dei treni per 50 milioni di italiani?

Ma se i manifestanti hanno pieno diritto a portare in piazza le loro passioni, la guida politica di questi movimenti avrebbe il dovere di indicare loro una strategia.

La vera domanda da porre a chi oggi sfilerà è dunque: questi cortei sostengono oppure no il piano di Trump per la pace a Gaza?

Eppure in piazza lo spiraglio di pace a Gaza, per quanto ancora incerto, sembra passato in secondo piano rispetto alla vicenda della Flotilla.

In particolare Pd e Cgil, eredi di una grande tradizione riformista e laburista, devono stare attenti a non disperderla in un’ubriacatura movimentista che galvanizza ma alla lunga isola, che riempie le piazze ma non le urne, come abbiamo visto di recente.

Oggi in piazza – conclude – è il momento di gridare «pace in Palestina», non «blocchiamo tutto»”.

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