Di tutto il settore pubblico italiano e di tutta la nostra organizzazione sociale, scrive sul Corriere della Sera Ernesto Galli della Loggia, Istruzione e Giustizia sono per ammissione unanime i due ambiti che versano in una situazione più critica.
Quelli i cui risultati in termini di efficienza, di qualità delle prestazioni e di apprezzamento da parte dei cittadini fanno segnare da anni gli indici più bassi, costituendo una pesante ipoteca sull’avvenire dell’intero Paese.
Ma se sulle gravissime carenze in questi due settori esiste nell’opinione pubblica un accordo sostanzialmente unanime, se ormai anche esponenti di opposti schieramenti politici sono più o meno unanimi nel medesimo giudizio (perlomeno quando si esprimono in privato), perché allora le cose non cambiano?
Perché nessuno dei vari governi succedutisi negli anni ha fatto qualcosa di significativo per migliorarle?
La risposta sta in due fatti arcinoti: da un lato nell’opposizione sindacalizzata di coloro che lavorano in questo caso nella scuola e nell’amministrazione della giustizia (così come in ogni altro comparto della pubblica amministrazione), dall’altro nell’esistenza di una formidabile blindatura ideologica costruita tanto nella scuola che nella giustizia a difesa dello status quo.
Ma c’è un terzo elemento decisivo: la pavidità della politica incapace di fare il proprio mestiere, cioè di far valere l’interesse generale.
Per tutelare davvero un tale interesse i ministri, innanzitutto, dovrebbero avere il coraggio di denunciare ciò che non funziona nel settore che è loro affidato e nell’amministrazione di loro competenza sforzandosi d’indicare per entrambi i possibili rimedi.
È proprio questo però che nel nostro Paese è rarissimo che accada.
Da noi infatti, in tali circostanze vige perlopiù la regola di un pietoso, omissivo silenzio.
Accade così che in generale per i ministri italiani governare non sia sinonimo di un agire concreto e in profondità, dell’introduzione di novità incisive, ma voglia dire un’altra cosa: essenzialmente spendere dei soldi e fare delle nomine.








