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Sarà la Banca Popolare di Sondrio a sbloccare il risiko bancario? | Lo scenario

Balza improvvisamente in primo piano la questione della B.P. Sondrio al diffondersi di notizie sul rastrellamento di azioni dell’istituto da parte della Goldman Sachs per un ammontare che arriverebbe al 10%.

Di qui la ricerca del soggetto per conto del quale sarebbero effettuati gli acquisti.

Si ipotizzano interessati, a seconda dei pareri, l’Unicredit – che però smentisce, anche se con ragionamenti sulle strategie di aggregazione che qualche tenue dubbio potrebbero pur lasciare – e i fondi, in previsione della prossima assemblea annuale nella quale – opina qualcuno – vorrebbero incidere sulla composizione dei vertici.

Quanto all’Unicredit, vi è pure chi immagina che possa ora dichiarare di non essere interessato solo perché la manovra è venuta allo scoperto.

Ma sarebbe la seconda volta di un indietreggiamento per tali motivi, dopo quello rispetto al Banco Bpm e, conoscendo le capacità del ceo Andrea Orcel, sembra difficile che di ciò si tratti.

Qualche altro tira in ballo un presunto interesse di Bnp Paribas, senza per ora reazioni.

È noto che la Sondrio è stata, fra le popolari tenute a trasformarsi in spa in applicazione di una scriteriata riforma – partita, nel 2015, dal presupposto che un assetto cooperativistico non possa esistere superati alcuni livelli di asset (ai tempi 8 miliardi) -, l’unica che ha resistito fino all’ultimo per non allinearsi all’innovazione con argomentazioni, sul piano giuridico, della ragionevolezza e dell’adeguatezza, non prive di fondamento.

L’associazione Amici della Popolare ha sostenuto questa lotta.

Alla fine con dignità ha dovuto cedere, ma riproponendosi di non dimenticare, pur nel rispetto del nuovo ordinamento, i caratteri della cooperazione e i legami con il territorio che la hanno fatta crescere a partire dall’opera rigorosa ed efficace del mitico presidente Piero Melazzini – noto per i suoi «riverisco» con i quali si rivolgeva agli esponenti della Vigilanza -, al quale si ispira anche l’agire del successore, Alberto Pedranzini.

L’elemento fondamentale che ha riguardato la fase più recente della vita della popolare è stata la partecipazione di Unipol arrivata a sfiorare il 20%.

Si è trattato di una convergenza ben spiegabile anche per le origini simili dei due intermediari radicati nel mondo della cooperazione e per la gestione di attività assicurative, con un’impostazione rispettosa, da parte di Unipol, che ha valorizzato le specificità della banca e del suo management.

Generalmente si è guardato, con questi presupposti, a un’operazione che, se dovesse essere di aggregazione o comunque di un’avanzata convergenza, non potrebbe non guardare in primis all’Unipol di Carlo Cimbri.

Di qui il domandarsi se l’acquisto di azioni non abbia, tra i diversi ipotetici obiettivi, anche quello di intralciare uno sviluppo della predetta convergenza per un disegno diverso.

Naturalmente, se dovesse concretarsi una manovra ostile o comunque non chiara, non è pensabile che l’Unipol non reagisca decisamente.

In ogni caso un’operazione ab externo che riguardi la Sondrio, con le probabili reazioni, è suscettibile di aprire i giochi per il riassetto di una parte del settore bancario italiano?

Si scrive che vi sarebbe voglia di fusioni nel settore.

E se si pensa al Montepaschi di Luigi Lovaglio, alla chiamata in causa del Banco Bpm di Giuseppe Castagna che puntualmente smentisce recisamente, alla Bper di Piero Montani impegnata nella concentrazione con Carige e dunque con motivazioni valide per non lanciarsi subito in nuove operazioni, all’importante ristrutturazione dei rapporti con Francesco Minotti tra Mediocredito Centrale, Banca del Mezzogiorno e Popolare di Bari sotto l’originario impulso di Bernardo Mattarella – tralasciando concentrazioni minori in corso, per esempio, nel mondo delle bcc – si deve concludere che da troppo tempo sembra che ci si arresti ai nastri di partenza in una condizione di surplace.

Così si ritorna ai problemi altre volte evidenziati della mancanza di una «moral suasion» da parte delle autorità competenti, rispettosa dell’autonomia degli intermediari ma altrettanto rispettosa del proprio ruolo, che non è quello del mero arbitro atarassico.

Anche perché una tale inerzia poi apre le porte a soluzioni che possono risultare come non certo le migliori conseguibili o addirittura da contrastare per varie motivazioni.

Ovviamente tutto ciò non significa affatto passare sopra i disegni eventuali delle banche, la loro autonomia decisionale, il mercato.

Ma la specialità della normativa bancaria, la peculiarità del sistema dei controlli, la particolarità delle procedure di rigore hanno un senso se accompagnate da un ruolo attivo del supervisore.

Se un’aggregazione bancaria fosse identica a quella di due società non bancarie, allora tutta l’architettura normativa e di supervisione dovrebbe essere nettamente ridimensionata.

Ma si deve ricordare che alla testa di tutto ciò sta l’articolo 47 della Costituzione sulla tutela del risparmio, oltre naturalmente ai Regolamenti e alle Direttive europei.

D’altro canto, non può non rilevarsi che con studi e saggi si analizzano molti aspetti del sistema bancario ma nessuna rimarchevole riflessione viene affrontata sulla struttura del sistema, come se fosse preclusa non solo al regolatore- supervisore ma anche agli studiosi.

Poi però i primi adottano disposizioni, per esempio per le banche, che a volte penetrano negli interna corporis, in tal caso non chiedendosi se si tratti di dirigismo o no.

Quando, dopo la grande riorganizzazione e ristrutturazione bancaria degli anni ‘90 promossa dalla Banca d’Italia con il concorso dei principali banchieri e del governo, l’allora governatore Antonio Fazio affermò che bisognava digerire le numerose operazioni compiute, si scatenò una canea – in diversi casi alimentata dal desiderio di guadagni di borsa – che sosteneva che invece bisognava aprire a nuove indeterminate aggregazioni.

Una spinta non certo commendevole, a dir pico.

Oggi però da nessuna parte viene una sollecitazione calibrata per un impulso alla riorganizzazione, pur essendocene bisogno per parti del sistema, al di là della formula spesso ripetuta di fare del Montepaschi il perno di un più ampio processo di concentrazione e consolidamento, ma poi tutto resta nei desiderata.

Resta fermo comunque che le aggregazioni si fanno se rispondono alla principale ragion d’essere delle banche, cioè per meglio esercitare il credito e tutelare il risparmio.

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