Dall’uscita dalla procedura per deficit eccessivo alla ricerca di nuove risorse per mantenere la promessa di nuovi interventi per tagliare le tasse. Sono i due obiettivi per il 2026, e che per il governo sono collegati.
“Uscendo dalla procedura di infrazione”, nel 2026 “questo rappresenterà uno stimolo per ulteriori interventi” – ha detto in un recente intervento il viceministro dell’Economia Maurizio Leo – “il mio obiettivo è dire ‘andiamo avanti con la riduzione delle tasse’, abbracciamo anche l’altra fascia” per il taglio dell’Irpef dal 35 al 33%, “da 50mila fino 60mila euro” – ha assicurato il vice del Tesoro ad Atreju.
Sullo sfondo la necessità di concludere il Pnrr entro la scadenza di agosto 2026: secondo l’ultima relazione sullo stato di attuazione, alla fine dell’anno in corso l’Italia avrà ricevuto complessivamente 153,2 miliardi, ai quali, nei prossimi mesi del 2026, si aggiungeranno 12,8 miliardi connessi al raggiungimento degli obiettivi della nona rata. Al 30 novembre risultavano già spesi 101,3 miliardi, a fine 2025 si arriverà a 110 miliardi.
La fine del Pnrr porrà una ulteriore sfida: agganciare la crescita e mantenere gli elevati livelli di investimenti raggiunti grazie al contributo dei fondi europei. Il Pil italiano è atteso in crescita dello 0,5% nel 2025 e dello 0,8% nel 2026, sulla scia del Pnrr.
Nel Documento programmatico di finanza pubblica (l’ex Nadef), il governo ha aggiornato le stime macro, fissando la rotta e i margini per le prossime misure economiche. Il deficit che ad aprile veniva stimato al 3,3%, è stato previsto al 3%, per passare al 2,8% per il 2026, al 2,6% per il 2027 e al 2,3% per il 2028.
Numeri che permetterebbero di agganciare la soglia prevista dalle regole di bilancio europee per l’uscita dalla procedura per deficit eccessivo avviata a luglio 2024. L’Italia è finita ‘sotto osservazione’ sulla base di un disavanzo di bilancio pari al 7,4% nel 2023. Per uscire dalla procedura il governo dovrà dimostrare di essere sotto la soglia del 3% entro il 2026.
A quel punto, tra i nodi da sciogliere, ci sarà quello delle spese per la difesa. Nella mappa dei conti risultano ‘prenotati’ 12 miliardi in tre anni, che però il governo metterà sul piatto solo con la fine del regime speciale di osservazione sui conti con l’uscita dalla procedura di disavanzo eccessivo.
La manovra di quest’anno è stata la prima a essere predisposta nel quadro delle nuove regole di bilancio europee. Una finanziaria snella, più delle precedenti, improntata alla nuova governance, il cui pilastro è l’impegno a mantenere la spesa primaria netta (senza calcolare misure discrezionali su sul lato delle entrate o di spese strutturali come gli interessi) su un sentiero che consenta un trend decrescente del debito pubblico.
Ai 18,7 miliardi previsti inizialmente, il governo ha aggiunto 3,5 miliardi con il maxiemendamento arrivato nel corso del tempestoso iter di conversione in Senato. L’intervento che occupa più spazio è il taglio dell’aliquota intermedia dell’Irpef, dal 35 al 33%, per 13,6 milioni di contribuenti: una misura che cuba 3 miliardi l’anno. Un ulteriore miliardo servirebbe per coprire la fascia successiva, fino al 60mila euro, cui il governo guarda per il prossimo anno.
Il secondo tassello, frutto dell’accordo di maggioranza, ha riguardato la rottamazione quinquies per i carichi fiscali affidati all’agente della riscossione fino al 31 dicembre 2023: potranno essere estinti con 54 rate bimestrali da minimo 100 euro in 9 anni, con tasso di interesse al 3% (abbassato in commissione in Senato rispetto al 4% previsto inizialmente); si potrà aderire entro aprile prossimo, con primo pagamento da luglio 2026, il beneficio decade se si omette il versamento di due rate, anche non consecutive.
Infine, le misure per le imprese: l’iperammortamento per le imprese. Un impegno preso in prima persona dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni con gli industriali, l’agevolazione per chi investe in beni strumentali varrà fino al settembre 2028 ma senza la maggiorazione per le spese green, arriva un fondo di 1,3 miliardi per il credito d’imposta, le cui risorse non coprivano le richieste, e mezzo miliardo per la Zes unica.
Per le famiglie arriva il bonus libri scolastici, assegnato tramite i Comuni, con un contributo per le famiglie con Isee non superiore ai 30mila euro e sempre per la stessa possibile platea un bonus fino a 1.500 per l’iscrizione dei figli alla scuola paritaria.








