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Per garantire il 5% sulle spese per la difesa sono necessarie drastiche misure di aggiustamento del bilancio | L’analisi di Sergio De Nardis

Il segretario Nato Mark Rutte – che è stato uno dei più longevi capi di governo nell’Ue e, in quella veste, oltremodo attivo nei “no” alle domande di flessibilità dei paesi indebitati, oltre che a ogni ipotesi di debito comune – dovrebbe sapere che l’obiettivo da lui caldeggiato di portare entro il 2035 al 5% del Pil il budget per la difesa di tutti i paesi Nato, inclusi quelli europei, è per molte di tali economie non fattibile allo stato delle correnti regole Ue, pur attenuate con le clausole di flessibilità volte a favorire tali spese.

In particolare, la clausola di salvaguardia nazionale prevede possibilità di deviazione dai sentieri di risanamento per i paesi considerati eleggibili nell’arco del quadriennio 2025-2028. Oltre non si va.

Inoltre, l’entità dello scostamento dai limiti di spesa netta è al massimo pari all’1,5% del Pil, tetto che mette per molte economie Ue fuori portata il 5%. Emblematico è il caso dell’Italia, paese in procedura per disavanzo eccessivo e il cui capo del governo ha affermato di voler aderire alle richieste Nato del target (5%, partendo da una spesa pari all’1,5% del Pil nel 2024).

Non è chiaro su cosa si fondi questa scelta di accettazione e se la presidente del Consiglio abbia sentito in proposito il Ministro dell’Economia. Sarebbe stato il caso, perché la prospettiva non è affatto appetibile.

Stime dell’Upb mostrano che, portando progressivamente la deviazione dal percorso di spesa indicato nel Piano strutturale di bilancio (Psb) fino al limite massimo consentito dell’1,5% del Pil nel 2028, la spesa per la difesa dell’Italia al più raddoppierebbe in quell’anno, collocandosi al 3%.

Sembrerebbe comunque di poter adottare in tal modo un buon stimolo all’economia, ma non è così. Tali spese hanno infatti una elevata componente di import (soprattutto dagli Usa) che sottrae porzioni di domanda alla formazione del Pil a vantaggio degli esportatori esteri.

Si può prospettare, come pur si è fatto, l’applicazione di clausole di contenuto minimo nazionale per i beni acquistati. Ma è ipotesi poco credibile nella negoziazione commerciale in corso tra Usa e Ue, in cui proprio l’acquisto di armi (oltre che gas) costituisce importante oggetto di scambio.

A ciò si aggiunge il significativo deterioramento della finanza pubblica. Il rapporto debito/Pil, secondo le simulazioni dell’Upb, si collocherebbe molto distante dall’attuale percorso di rientro, tra il 135 e il 140% del Pil ben oltre il 2028.

Sarebbero quindi necessarie misure di aggiustamento post-deviazione molto più drastiche di quelle contenute nel corrente piano italiano, misure da predisporre a partire dal prossimo Psb del 2028 e che non potrebbero che riguardare spese sociali e tasse.

Un consolidamento che deprimerebbe la crescita per diversi anni, rendendo il percorso oltremodo difficile.

Ciò con la spesa per la difesa al 3% del Pil. Meloni punta al 5.

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