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Non devono essere i giudici a definire le scelte aziendali di una grande banca | L’intervento di Giovanni Sabatini e Francesco Sciaudone, Grimaldi Alliance

La Bce è da tempo preoccupata per l’impatto della guerra in Ucraina sui bilanci delle istituzioni finanziarie europee e nel corso degli anni è intervenuta più volte per indurle a ridurre tempestivamente le esposizioni in Russia.

Tracciare il confine tra esercizio della vigilanza sulle banche e gestione delle stesse, in particolare quando si tratta di banche di rilevanza sistemica, è da sempre un tema complesso e delicato.

L’adozione da parte del supervisore di misure quali “le linee guida” o le “aspettative di vigilanza”, atti di difficile qualificazione sotto il profilo giuridico-amministrativo, hanno reso questo confine sempre più labile.

Vigilare evitando di sconfinare nella gestione è il difficile equilibrio che deve essere sempre preservato nello svolgimento delle attività da parte delle autorità di vigilanza.

Che si sia arrivati al ricorso al Tribunale dell’Unione è, come detto, un segnale preoccupante.

Certezza normativa, esercizio delle competenze delle istituzioni nell’ambito del quadro definito dalle norme primarie, capacità di dialogo e ascolto con i vigilati, confronto equilibrato su come contemperare gli obiettivi di stabilità finanziaria e quelli di redditività dell’impresa: questa la strada da percorrere per evitare che a tracciare il confine tra vigilanza e gestione siano i giudizi dei tribunali.

Il mercato non dovrebbe essere guidato dalle sentenze dei giudici anche perché i tempi delle stesse non sono compatibili con la velocità delle scelte degli operatori così come il rischio di impresa – fermo il rigoroso rispetto delle regole – deve rimanere nell’autonomia e nella responsabilità delle istituzioni finanziarie.

Il giudizio avviato davanti al Tribunale dell’Unione – che secondo le statistiche degli ultimi anni potrebbe durare fino a 18 mesi – è un giudizio che innanzitutto deve superare il primo scoglio della ricevibilità, nella misura in cui ha ad oggetto un atto della Bce che si configuri come una decisione vincolante, direttamente indirizzata a soggetto vigilato ricorrente e come tale idonea a produrre effetti potenzialmente negativi.

Il merito delle questioni ovviamente dovrà essere affrontato dai giudici, ma alla luce dei ben noti precedenti in materia di contenzioso tra banche e Bce, il ricorso rischia di essere solamente la prima di una lunga serie di azioni giudiziarie.

Infatti, avverso la sentenza del Tribunale, come noto, può essere presentato appello alla Corte di Giustizia; anche la pronuncia sulla richiesta di provvedimenti urgenti, che sembrerebbe essere stata presentata, potrebbe essere oggetto di appello.

Come si diceva, non è il primo caso di contenzioso tra istituzioni finanziarie e istituzioni europee.

È noto in Italia il contenzioso che ha portato a definire, dopo anni e ingenti costi per il settore bancario, l’errore di diritto della Commissione e la natura privata delle operazioni effettuate dal fondo di garanzia interbancario, escludendo che si trattasse di aiuti di Stato.

I tempi della giustizia tuttavia non sono i tempi del mercato.

I tempi del Tribunale dell’Unione, nonostante la sua efficacia e la sua organizzazione, non sono quelli dei mercati dei capitali.

È auspicabile che non sia la Corte di Lussemburgo a diventare il luogo di definizione delle incertezze regolamentari che interessano il settore finanziario per effetto della guerra in Ucraina.

È auspicabile altresì che le istituzioni europee, e tra esse anche la Bce, sappiano rimettere alla libera determinazione delle imprese la gestione del proprio rischio economico.

Il rischio, con il sistema di misure e sanzioni che è stato introdotto a livello europeo, è che il prezzo più alto finiscano per pagarlo le imprese europee tenute a osservare un quadro normativo ipertrofico, articolato su una molteplicità di livelli non sempre coordinati e coerenti tra loro.

Pandemia, guerra in Ucraina, l’emergere di un mondo multipolare e la crisi della globalizzazione, le discontinuità strutturali determinate dalla digitalizzazione, dalla necessità di rendere sostenibile lo sviluppo economico, innanzitutto sotto il profilo ambientale, l’invecchiamento della popolazione stanno mettendo a dura prova l’adeguatezza dell’assetto regolamentare del settore finanziario europeo.

Il ricorso sempre più frequente ai giudici europei, sia in sede di ricorso diretto sia in sede di rinvio pregiudiziale con riferimento a provvedimenti che riguardano la definizione di scelte aziendali, amministrative e comunque economiche relative alla guerra in Ucraina, sta ulteriormente rendendo complesso ed incerto il nostro sistema giuridico.

Occorre davvero avviare una nuova stagione di dialogo tra imprese, istituzioni finanziarie ed istituzioni europee, capace di evitare l’aumento del contenzioso europeo, sintomo negativo di istituzioni che stanno perdendo autorevolezza e di imprese ricorrenti che troppo spesso si trovano costrette a cercare il giudice di Lussemburgo come ultima istanza per difendere le proprie posizioni i propri diritti.

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