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Non c’è più tempo, l’Italia acceleri gli investimenti. I canali fisici di vendita sono al collasso e la traversata nel deserto della crisi farà tante vittime

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A maggio l’Italia è uscita dalla fase di emergenza sanitaria che l’ha investita in questo primo semestre del 2020, ma dalla riapertura ad oggi c’è stato un tracollo evidente nel settore dei canali fisici che sta generando impatti significativi nell’economia italiana.

Infatti i protocolli sanitari introdotti a seguito della pandemia, pur nella loro assoluta correttezza, hanno generato nei confronti dei negozi, degli agenti di commercio e di vendita door-to-door, dei call center un calo di vendite elevato che va al di là del Covid stesso.

Nei mesi di maggio e giugno i negozi hanno patito tantissimo le procedure sanitarie – giustamente corrette – imposte dal Covid e quindi hanno rallentato in maniera impressionante le vendite.

Molte aziende stanno registrando delle forti contrazioni della pedonabilità nei negozi, e in alcuni casi il decremento del fatturato raggiunge il 50/60%.

La necessità di dover entrare uno alla volta, con le mascherine e previa sanificazione inibisce i clienti ad entrare.

Chi oggi distribuisce i propri servizi attraverso i negozi ha una perdita significativa perché c’è una mancanza di pedonabilità, anche in virtù dell’aumento delle temperature esterne che in alcune regioni arrivano a sfiorare i 40 gradi, per cui, piuttosto che mettersi in fila sotto il sole, i clienti preferiscono rinunciare.

Il crollo dei canali fisici ha quindi un forte impatto in questo passaggio che sta attraversando l’Italia dalla pandemia sanitaria a quella economica, e tutti i settori vengono impattati, sia i servizi light come le telco, l’energia, il gas, ma anche i negozi di alta moda e della grande distribuzione.

Un altro segmento fortemente impattato dalle nuove regole è quello del canale di vendita con gli agenti door-to-door.

Molti prodotti in Italia, quasi il 20-25% del totale, viene venduta attraverso tale tipologia di agenti, accompagnato magari da una significativa campagna pubblicitaria sui media.

Ora questo segmento di vendita sta subendo un decremento dell’80%, perché nessuno apre più la porta.

Rispetto alle 100 porte pre-covid che venivano aperte dalle famiglie ai venditori, oggi se ne aprono solo 20.

Certo, non vuol dire che il 100% delle porte aperte dava una vendita sicura, però la possibilità di riuscita era molto più ampia perché aprivano la porta in 100, ora la aprono in 20.

Per molte aziende il 2020 è un anno morto, finito, e in questo senso gli ultimi rapporto di Banca d’Italia e dell’Istat sono molto eloquenti.

Quindi siamo di fronte ad una crisi che non è solo una crisi di domanda, di denaro o di risparmio degli italiani, ma siamo di fronte ad una vera e propria crisi dei canali commerciali, dei canali che veicolavano in maniera importante i prodotti e i servizi in Italia.

Anche l’affermazione ripetuta per cui gli italiani sono uno dei popoli più dedito al risparmio in Europa, ormai non regge più, può riguardare solo una minoranza degli italiani, non certo la maggioranza che ormai vive di sussidi.

Tanto è vero che tutte le misure che sono state varate post covid sono misure di assistenza, non sono misure per un rilancio strutturale dell’economia, dell’industria, della produzione o del lavoro.

Questo è un elemento chiaro, noi stiamo vivendo di sussidi, nel momento in cui i sussidi muoiono, gli italiani rischiano di impoverirsi drammaticamente.

L’Istat ha dichiarato che il 60% degli italiani possiedono dei risparmi per i prossimi 3 mesi.

Quindi senza un piano di rilancio dell’economia serio e strutturato, che coinvolga tutti, comprese le parti sociali, è impossibile vedere una reale ripresa di questo Paese.

Oltre a quello che succede sulle strade, con i negozi vuoti per effetto della pandemia e il door-to-door che non funziona più perché nessuno apre le porte, anche i call center stanno avendo grosse difficoltà in questa fase di ripartenza.

Infatti anche nei call center bisogna giustamente rispettare tutti i protocolli sanitari, mantenendo le distanze ed evitando assembramenti, ma anche per loro questo si traduce in un minor accesso di persone al luogo di lavoro, e quindi ai clienti vengono fornite meno risposte, meno servizi, e tutto questo pesa enormemente sui canali commerciali delle aziende tradizionali.

L’altro grande problema è che di fatto l’Italia non è un Paese digitale, ossia l’Italia non ha una rete digitale adeguata e non può sostituire velocemente questi canali tradizionali di vendita come i negozi, i venditori, gli agenti, con il web perché non ha una infrastruttura digitale adeguata per consentire a tutti gli italiani di poter comprare servizi e prodotti via web, e questa sarebbe la grandissima sfida.

C’è una retorica nel dire che il digitale può colmare questa domanda, perché i problemi rimangono tutti, e la rete unica non può rappresentare una reale soluzione.

Da un lato il nostro è un paese che rimane ancorato a vecchie metodologie di vendita sui servizi e sui prodotti e dall’altro la digitalizzazione non potrà sostituire, se non in due/tre anni, queste vecchie metodologie.

E in una condizione sanitaria di allarme questa situazione non agevola né la spinta della domanda né quella dell’offerta. Il rischio di un corto circuito è molto alto.

Il digitale che stiamo invocando in maniera quasi automatica di fatto non c’è. L’old business prevale perché è stata la modalità di sempre, anche se sta morendo per effetto del Covid e delle conseguenti misure sanitarie, e questo genera in Italia un effetto molto più grave degli altri Paesi Europei.

La differenza tra noi e gli altri Paesi si attesta su un 30% in meno per noi.

Il nostro Paese è fatto da migliaia di comuni suddivisi in tante aree, e ci sono aree dove non riesci ad accedere ai servizi online. Se non vivi in una grande città, hai difficoltà a comprare una mascherina o un guanto online.

È per questo che nelle zone dove si vive in maniera più forte il Digital Divide oggi si rischia la desertificazione economica.

Le zone interne sono ad alto rischio e tutto questo può creare allarme sociale.

A quel punto anche gli immobili di quelle zone perdono di valore, un immobile in un borgo non è vendibile, non è commerciabile, non è appetibile e la gran parte dell’Italia è fatta così.

Anche per quanto riguarda il tema della ristorazione la situazione è difficile: nelle grandi città, Milano, Firenze, Roma, si registra un calo pesante prima di tutto per la mancanza di turisti.

In Russia e Stati Uniti c’è il lockdown, quindi non possono partire per le vacanze.

Nelle piccole e medie imprese nei prossimi mesi ci sarà un allarme fortissimo. Basta vedere quello che sta succedendo agli alberghi, a Roma si parla del 70% degli alberghi chiusi, anche a Milano si arriva quasi all’80%.

Sembra che il paese stia facendo una grande traversata nel deserto, chi ha le risorse ce la fa ad arrivare fino in fondo, gli altri muoiono per strada, e purtroppo questo avviene in un Paese completamente fermo.

Un altro esempio potrebbe essere quello delle stazioni dei taxi, sono tanti i taxi fermi in attesa di clienti che non arriveranno mai.

I bar sono vuoti, Milano centro è deserta, le persone sono nelle seconde case.

Molti non lavorano, qualcuno lavora in smart working, le più grosse aziende sono ancora in smart working.

Il vero problema non è se il dipendente va o non va in ufficio, ma è la crisi del canale commerciale.

Chi non produce direttamente fatturato, che sia in ufficio o che stia a casa cambia poco, anzi per alcune aziende può essere un risparmio.

Il problema è chi deve produrre fuori, chi deve procurare fatturato all’Azienda, chi deve vendere, la rete commerciale appunto.

Tutti i business che si basano su una rete umana, di relazione, sono in grossa difficoltà, e questo vale per qualunque tipo di business.

Per poter ripartire davvero è necessario investire nelle infrastrutture.

Bisogna colmare le carenze del nostro Paese, quindi le strade, le ferrovie, la TAV, gli aeroporti, dobbiamo rendere il nostro Paese all’altezza di quello che è. Per creare occupazione sul territorio, questo è il volano numero uno.

Un altro investimento importante da fare è quello sul turismo, perché ci sono delle zone enormi da sfruttare, dalla costiera amalfitana in giù ci sono tantissime potenzialità non sviluppate.

Il Sud della Francia è totalmente sviluppato, noi ancora dobbiamo lavorare su questo.

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