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Natalità: per una primavera demografica serve un nuovo patto giovani-aziende | La ricerca della Fondazione Magna Carta

Per molti giovani italiani sotto i 35 anni – in particolare quelli che vivono nelle aree più sviluppate del Paese – non è solo il reddito, ma il tempo a pesare sulla scelta di diventare genitori.

È quanto emerge dai focus group realizzati dalla Fondazione Magna Carta nel corso della ricerca “Per una Primavera demografica”. A determinare il rinvio (o la rinuncia) alla genitorialità è spesso la difficoltà a conciliare lavoro e vita privata, in un equilibrio che continua a sfuggire.

Tale difficoltà è stata valutata con un punteggio pari a 9 su 10, in termini di impatto, dal campione di giovani under 35 – in particolare residenti nel Centro-Nord – intervistati dalla fondazione nel corso della ricerca. Il tempo è dunque la risorsa chiave per chi vuole costruire una famiglia: se manca, o se va speso per colmare l’assenza di servizi essenziali, anche solo pensare a un figlio diventa difficile.

Per questo, secondo la ricerca, il welfare aziendale deve partire da qui: offrire più tempo alle nuove generazioni, attraverso servizi che migliorino la qualità della vita.

I risultati della ricerca sono stati presentati a Roma, durante l’evento “Cambiano i giovani, cambia il lavoro: un patto intergenerazionale”, organizzato da Asstel e dall’Osservatorio sulla Crisi Demografica di Fondazione Magna Carta (che conta tra i suoi partner Jointly e WellMakers by BNP Paribas), presso The Dome – Luiss Guido Carli.

A concludere i lavori, la ministra per la Famiglia, la Natalità e le Pari Opportunità Eugenia Roccella.

Tra gli interventi istituzionali anche quelli di Gaetano Quagliariello (presidente della Fondazione Magna Carta), Massimo Sarmi (presidente di Asstel), Annamaria Parente e Gian Carlo Blangiardo, rispettivamente direttrice e coordinatore scientifico dell’osservatorio.

Alla tavola rotonda sulle buone pratiche aziendali hanno partecipato Laura Di Raimondo (direttore generale Asstel), Gian Luca Orefice (chief people, culture & transformation officer Ferrovie dello Stato Italiane), Antonio Liotti (chief people & organisation officer Leonardo), Anna Zattoni (presidente e co-founder Jointly) e Stefano Colasanti (head of WellMakers by BNP Paribas).

“I dati ci dicono che la denatalità non è una malattia italiana ma una vera e propria pandemia, che investe tutta l’Europa e tante aree del mondo, e che riguarda soprattutto i Paesi con un maggiore sviluppo. Diagnosi basate solo sui fattori economici sarebbero dunque sbagliate e fuorvianti. La leva economica è importante, e il nostro governo sta investendo molto sulla famiglia e la natalità. Ma lo è altrettanto comprendere che ci sono fattori culturali da scardinare in modo nuovo: non certo tornando indietro dalla strada dello sviluppo, ma promuovendo un nuovo approccio alla genitorialità, a cominciare dalla conciliazione e dal riconoscimento del valore sociale della maternità. Perché meno figli non significa solo persone più sole, ma anche una società più povera e meno proiettata verso il futuro”, ha dichiarato Eugenia Roccella.

“Abbiamo avviato questa ricerca per capire le cause profonde della denatalità”, ha dichiarato Annamaria Parente, direttrice dell’Osservatorio FMC. “Oggi ci chiediamo come stia cambiando il lavoro e come si trasformano, di conseguenza, le aspettative dei giovani. I dati parlano chiaro: tra gli under 35 con figli è soddisfatto solo chi lavora in contesti attenti alla famiglia e con orari flessibili. Ma molti si scontrano ancora con modelli troppo rigidi e carichi non sempre sostenibili. Ne nasce una fragilità crescente. Se non ascoltiamo i giovani e non aggiorniamo l’organizzazione del lavoro, la crisi demografica rischia di aggravarsi. Una strategia di corporate wellbeing efficace deve partire dall’ascolto. Solo così le aziende possono offrire risposte concrete ai bisogni dei giovani lavoratori, promuovendo produttività, qualità della vita e fiducia nel futuro. Quella fiducia su cui si costruisce la scelta di mettere al mondo un figlio”, ha concluso.

Tra i nodi emersi nella ricerca di Magna Carta spicca il gap tra politiche aziendali e bisogni dei lavoratori, in particolare quelli più giovani. Secondo “Per una Primavera demografica”, due terzi delle imprese italiane intervistate non dispone di strumenti strutturati di ascolto legati all’organizzazione del lavoro, e solo una minoranza ha integrato il benessere dei dipendenti nella propria strategia HR.

Un segnale positivo arriva però dall’ecosistema delle telecomunicazioni: secondo il Rapporto sulla filiera delle Telecomunicazioni in Italia 2024 di Asstel, il 97% delle aziende TLC applica lo smart working e il 76% adotta modelli di flessibilità oraria, a conferma di un cambiamento in atto.

“L’ecosistema delle telecomunicazioni rappresenta un settore di frontiera e la sfida per chi si occupa di risorse umane si gioca su più livelli: formare le persone, preparare le ragazze e i ragazzi che entreranno al lavoro, stimolare le istituzioni a collaborare con le imprese per affrontare le transizioni demografica, digitale e organizzativa”, spiega Laura Di Raimondo, direttore generale di Asstel.

“I nativi digitali affrontano un mondo del lavoro sempre più volatile, caratterizzato da modelli organizzativi liquidi e dall’integrazione crescente delle tecnologie intelligenti nei processi produttivi e aziendali. Diventa cruciale per le imprese comprendere come questa generazione affronti le transizioni lavorative in un mondo sempre più connesso e come debbano evolversi offrendo soluzioni e contribuendo alle politiche pubbliche che contrastano il calo della natalità in Italia”.

Le competenze richieste dall’ecosistema delle TLC non sono solo tecniche, ma devono essere affiancate da soft skill quali flessibilità, leadership trasformativa, pensiero critico e creatività.

Per stimolare questo processo, Asstel da tempo mappa e aggiorna costantemente le competenze negli ambiti della cyber security & data protection, big data & analytics, intelligenza artificiale & machine learning, cruciali per la crescita dell’ecosistema della filiera, e ha individuato 70 nuove competenze emergenti – come prompt designer e prompt engineer – legate all’intelligenza artificiale generativa.

“Per supportare tale trasformazione, occorre – ha aggiunto Di Raimondo il rafforzamento e la strutturalità di strumenti come il Contratto di Espansione e il Fondo Nuove Competenze, fondamentali per agevolare i processi di ricambio generazionale e aggiornamento professionale. Inoltre, Asstel auspica un sostegno integrativo al Fondo di solidarietà bilaterale per la filiera tlc, che potrà diventare il fulcro delle politiche attive del settore”.

“In un Paese che invecchia e dove l’accesso dei giovani al lavoro ha ancora troppe barriere, la vera sfida -ha concluso- è creare ecosistemi inclusivi, dove le generazioni si rafforzano a vicenda. La complessità del lavoro impone un superamento delle strutture gerarchiche tradizionali. Servono modelli agili e trasversali, capaci di facilitare la cooperazione intergenerazionale e valorizzare tutte le età professionali”.

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