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Draghi sgrida l’Europa: “Basta dire no. Fate qualcosa” | L’intervento

Il mondo confortevole per l’Unione europea è finito. E gli europei non possono dire semplicemente ce ne andiamo. Non c’è alternativa al cambiamento radicale per affrontare le sfide che ora sono in primo piano. E l’Unione europea deve farlo – può ancora farlo – se agisce unita come uno Stato unico e lo fa con velocità, scala e intensità. Perché “se le recenti dichiarazioni delineano il nostro futuro, possiamo aspettarci di essere lasciati in gran parte soli a garantire la sicurezza in Ucraina e nella stessa Europa”.

È il messaggio che ha portato Mario Draghi al Parlamento europeo, riunito nella composizione particolare della ‘Settimana europea’ che mette sugli stessi banchi eurodeputati, deputati e senatori dai Ventisette Stati membri e dei Paesi candidati all’Unione.

L’ex presidente della Bce ed ex presidente del Consiglio, accolto da super star con tanto di richieste di selfie e autografi su bandierine e banconote, ha confermato l’allarme lanciato nel suo rapporto pubblicato a settembre. “Da quando il rapporto è stato pubblicato, i cambiamenti che hanno avuto luogo sono ampiamente in linea con le tendenze che vi erano state delineate. Ma il senso di urgenza di intraprendere il cambiamento radicale che il rapporto sosteneva è diventato ancora più forte”, ha spiegato. Le ragioni riguardano essenzialmente l’ulteriore accelerazione dell’intelligenza artificiale, il perdurare del caro energia in Europa e le nuove sfide poste dall’amministrazione americana di Donald Trump.

“Quando è stato pubblicato il rapporto il tema geopolitico principale era l’ascesa della Cina. Ora, l’Ue dovrà affrontare tariffe da parte della nuova amministrazione statunitense nei prossimi mesi, o forse settimane, ostacolando il nostro accesso al nostro più grande mercato di esportazione. Inoltre, le tariffe statunitensi più elevate sulla Cina reindirizzeranno la sovraccapacità cinese in Europa, colpendo ulteriormente le aziende europee. In effetti, le grandi aziende dell’Ue sono più preoccupate per questo effetto che per la perdita di accesso al mercato statunitense”.

Draghi propone la sua ricetta: “Per far fronte a queste sfide, è sempre più chiaro che dobbiamo agire sempre di più come se fossimo un unico Stato. La complessità della risposta politica che coinvolge ricerca, industria, commercio e finanza richiederà un livello di coordinamento senza precedenti tra tutti gli attori: governi e Parlamenti nazionali, Commissione e Parlamento europeo. Questa risposta deve essere rapida, perché il tempo non è dalla nostra parte, con l’economia europea che ristagna mentre gran parte del mondo cresce. La risposta deve essere commisurata alla portata delle sfide. E deve essere focalizzata sui settori che guideranno un’ulteriore crescita”.

Nel dibattito con i legislatori ha richiamato anche all’appello fatto già lo scorso anno, ancora prima di pubblicare il suo rapporto sul Futuro della competitività europea. “Non si può dire no al debito pubblico, no al Mercato unico, no alla creazione dell’Unione dei mercati dei capitali. Non possiamo dire di no a tutto, altrimenti bisogna essere coerenti, e ammettere di non essere in grado di mantenere i valori fondamentali per cui questa Unione europea è stata creata. Quindi quando mi chiedete ‘cosa è meglio fare ora’ dico che non ne ho idea, ma fate qualcosa!”.

Invita inoltre l’Ue a snellirsi. “Dobbiamo creare le condizioni affinché le aziende innovative crescano in Europa piuttosto che rimanere piccole o trasferirsi negli Stati Uniti. Ciò significa abbattere le barriere interne, standardizzare, armonizzare e semplificare le normative nazionali e spingere per un mercato dei capitali più basato sul capitale azionario. Spesso siamo noi stessi i nostri peggiori nemici in questo senso. Abbiamo un mercato interno di dimensioni simili a quello degli Stati Uniti. Abbiamo il potenziale per agire su larga scala. Ma il Fmi stima che le nostre barriere interne equivalgano a una tariffa di circa il 45% per la produzione e del 110% per i servizi”.

A livello macro Draghi fa due richieste: debito pubblico europeo e superamento dell’unanimità. “La cifra di 750-800 miliardi di euro di investimenti necessari è una stima prudente. In realtà, potrebbe essere ancora più alta se consideriamo che non include investimenti per la mitigazione del cambiamento climatico e altri obiettivi importanti. Ma questa cifra è stata stimata sulla base della situazione attuale e, in questo caso, è necessario emettere titoli di debito. E questo debito comune dev’essere, per definizione, sovranazionale, perché alcuni Paesi dispongono di spazio fiscale, ma non sufficiente nemmeno per i propri obiettivi, mentre altri Paesi non hanno alcuno spazio fiscale. Tuttavia, tenete presente che questa è solo una stima basata sulla situazione attuale”.

E a chi è il contro il debito presenta l’esempio degli Stati Uniti: “A proposito della paura di creare debito pubblico. Lasciate che vi ricordi un’altra cosa: se guardate agli ultimi 15, 20 anni, il Governo degli Stati Uniti ha iniettato nell’economia 14 trilioni di dollari, noi ne abbiamo fatti sette volte meno. Ora, questo deve aver prodotto qualche differenza”.

Per l’ex premier italiano, inoltre, l’unanimità “non dovrebbe più essere necessità fondamentale, ma si dovrebbe passare a una maggioranza qualificata in molte aree”. “La mia sensazione – ha raccontato – è che nei prossimi mesi i Paesi si raggrupperanno esattamente su questo punto, sui Paesi che continueranno a difendere l’unanimità e sui Paesi che saranno in un certo senso pronti a scendere a compromessi e ad andare verso un voto a maggioranza qualificata”.

Draghi snocciola anche altre soluzioni: “Il modello di cooperazione rafforzata, che è presente nei nostri Trattati. Oppure il modello intergovernativo, vale a dire, 2-3-4 governi concordano su determinati obiettivi e decidono che si muoveranno insieme, rimanendo aperti ad altri, ad altri Paesi che si introducono. È ovvio che è meglio procedere insieme, ma per procedere insieme, specialmente in settori come la difesa, la politica estera, è necessaria una valutazione comune di quali sono i rischi, di quali sono i compromessi, specialmente, di chi è il nemico”.

Conclusione: “Il rapporto è stato pubblicato all’inizio di settembre. Oggi, cinque mesi dopo, cosa ne rimane? Abbiamo discusso: cosa ricaviamo da questa discussione? Che ciò che è nel rapporto è ancora più urgente di quanto non fosse cinque mesi fa. Ma questo è tutto. Spero che la prossima volta, se mi inviterete, potremo discutere di ciò che è stato fatto, di ciò che è stato effettivamente fatto”.

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