Economisti, analisti e noi qui al Giornale – ricorda Marcello Zacché – abbiamo intuito e scritto che la crisi energetica era la nuova pandemia fin dai primi giorni del gennaio scorso. Più di un mese prima della guerra in Ucraina.
Gli effetti del Covid sull’economia, come li abbiamo conosciuti nel 2020 a causa del lockdown, hanno cessato di essere disastrosi già dalla fine di quello stesso anno. Grazie ai vaccini (in principio è bastato anche solo l’effetto annuncio), la pandemia ha smesso di minacciare il nostro benessere complessivo ormai da tempo, pur restando in prima pagina.
Quello che invece è cambiato, nel corso del 2021, è stato il costo delle materie prime, la cui manifestazione più eclatante è l’aumento della bolletta energetica. Un problema che ci è stato presentato per qualche mese come transitorio – colpevoli più di tutti alcuni economisti e in particolare quelli fra loro che di mestiere fanno i banchieri centrali – per poi capire che invece sarebbe durato a lungo.
Tutto questo prima della guerra. Figuriamoci dopo, visto che parliamo di un conflitto tra il primo esportatore di gas in Europa e il quinto produttore di grano del mondo. Per cui, se a gennaio il tema era quello dei prezzi, ora è diventato addirittura quello degli approvvigionamenti.
Dopodiché ci limitiamo ad osservare che il difetto rimane sempre lo stesso: quello di mandare avanti l’economia italiana a forza di emergenze.
Sono ormai vent’anni che l’esecutivo non riesce a mettere l’agenda economica al primo posto. E il risultato è la scarsa crescita del nostro Pil, di gran lunga fanalino di coda delle grandi economie europee. L’Italia ha un problema naturale di risorse.
Eppure, dopo Enrico Mattei, del quale correrà in ottobre il sessantesimo anniversario dalla scomparsa, nessuno ha più avuto in testa un progetto-Paese. Ed è esattamente ciò che manca.








