In stretta sequenza con la decisione della Banca centrale statunitense, ieri la Bce ha innalzato i tassi di interesse di policy di 50 punti base, portando il tasso di riferimento al 2,5%.
A fronte di un’inflazione corrente in diminuzione ma ancora prossima al 10%, si è trattato di una scelta prevedibile, che peraltro mantiene in territorio negativo i tassi ‘reali’ di interesse di mercato.
Quasi altrettanto prevedibile è stata l’opzione di avviare, da marzo 2023, una riduzione dei reinvestimenti sui titoli in scadenza del vecchio programma di acquisto dei titoli pubblici (App).
Eppure, la pessima reazione degli investitori finanziari europei indica che le iniziative monetarie della Bce non sono state del tutto scontate.
La ragione di questa relativa “sorpresa” non riguarda tanto il livello attuale dei tassi di interesse di policy, quanto i loro andamenti futuri e – soprattutto – la dinamica attesa della liquidità disponibile.
A tale riguardo, tre sono gli elementi da considerare.
Primo: la riduzione mensile dei reinvestimenti dell’App, annunciata per il periodo marzo – giugno 2023, è stata maggiore del previsto e arriverà a dimezzarne la portata complessiva.
Secondo: vi è un’elevata probabilità che, da luglio 2023, questa riduzione venga innalzata; sommandosi al peggioramento dei contratti in essere sui rifinanziamenti del T-LTRO3 e alla connessa accelerazione nei rimborsi di tali rifinanziamenti da parte delle banche, ciò porterà a un ridimensionamento del bilancio della Bce e – dunque – a una caduta della liquidità in circolazione assai meno graduale di quanto auspicabile.
Terzo: la Bce ha annunciato che gli aumenti nei tassi di interesse di policy proseguiranno fino a che il tasso medio di inflazione dell’euro-area non si attesterà al 2%; il che porterà a un persistente aumento nei tassi di mercato con effetti negativi sul volume dei finanziamenti bancari all’economia.
In altri termini, i tre elementi determineranno una forte caduta della liquidità disponibile nei mercati europei.
La conclusione raggiunta conferma che, se la politica monetaria è lasciata sola a contrastare eccessi di inflazione innescati da strozzature dal lato dell’offerta, il risultato non può che essere una caduta della domanda aggregata e un prolungato periodo di stagflazione.
Per aggirare un risultato così negativo, è necessario attivare politiche fiscali centralizzate in grado di sostenere l’offerta aggregata mediante la produzione di beni pubblici europei.








