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Manovra: benefici fino 1.400 euro con Irpef al 33% | Lo scenario di Unimpresa

Una riduzione dell’aliquota Irpef dal 35% al 33% e l’estensione dello scaglione intermedio fino a 60.000 euro di reddito porterebbe, per un reddito lordo annuo di 30.000 euro, un risparmio di circa 40 euro, per salire a 240 euro con 40.000 euro di reddito e a 440 euro con 50.000 euro.

Il beneficio massimo si registrerebbe a quota 60.000 euro, con un alleggerimento dell’imposta di 1.440 euro, pari a circa 120 euro al mese. Per i redditi superiori, come i 70.000 euro, il vantaggio rimarrebbe fermo a 1.440 euro, poiché lo sconto fiscale si applica solo sulla parte di reddito fino alla nuova soglia dei 60.000 euro.

È quanto stima il Centro studi di Unimpresa, che ha analizzato l’ipotesi al centro della discussione politica ed economica, che potrebbe essere inserita nella prossima legge di Bilancio. La misura avrebbe un impatto variabile sui contribuenti a seconda del livello di reddito, con vantaggi che crescono progressivamente.

Il quadro attuale prevede tre scaglioni Irpef: 23% fino a 28.000 euro, 35% da 28.001 a 50.000 euro e 43% oltre i 50.000 euro.

L’intervento in discussione comporterebbe dunque sia un abbassamento dell’aliquota intermedia, sia un innalzamento della soglia di accesso al 43%.

Il costo complessivo della misura oscillerebbe tra i 3,5 e 4 miliardi di euro annui. Una cifra non trascurabile, in un contesto di bilancio caratterizzato dal ritorno dei vincoli europei e dalla necessità di finanziare altre priorità, tra cui il taglio del cuneo fiscale e il sostegno agli investimenti del Pnrr.

Sul piano redistributivo, i benefici si concentrerebbero soprattutto sui redditi medio-alti, con vantaggi significativi per circa 13 milioni di contribuenti. L’impatto per i redditi bassi risulterebbe invece minimo, con una serie di interrogativi sull’efficacia della misura in termini di equità e di sostegno ai consumi interni.

La proposta, tuttavia, avrebbe un forte valore politico, poiché intercetterebbe il malcontento del ceto medio, storicamente penalizzato dal prelievo fiscale e spesso percepito come trascurato dalle politiche redistributive.

“La misura, qualora fosse confermata nella legge di bilancio, rappresenterebbe un segnale politico importante nei confronti del ceto medio, da tempo compresso da una pressione fiscale tra le più alte in Europa. È una misura che intercetta un disagio reale, ma rischia di restare incompleta se non accompagnata da un progetto più organico di riforma del sistema tributario italiano. L’intervento, infatti, produrrà vantaggi significativi per i redditi medio-alti, con risparmi anche superiori a 1.400 euro l’anno, mentre lascerà sostanzialmente invariata la situazione dei redditi più bassi. Senza un’attenzione parallela alle fasce deboli e senza una semplificazione vera degli adempimenti burocratici, il rischio è che la riforma si trasformi in un provvedimento parziale, incapace di incidere sul nodo strutturale della pressione fiscale complessiva che pesa su famiglie e imprese. L’Italia ha bisogno di un fisco equo e competitivo, che sostenga i consumi interni e liberi risorse per gli investimenti delle imprese. È in questa direzione che il governo deve avere il coraggio di muoversi, perché solo così sarà possibile rafforzare la crescita e ridare fiducia a cittadini e aziende”, dichiara il presidente di Unimpresa, Paolo Longobardi.

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