Il problema dei salari c’è sempre stato, ma l’inflazione l’ha «fatto esplodere in Italia». Lo sostiene Roberto Mania, che aggiunge: «sono decenni che gli italiani a reddito fisso convivono con la stagnazione salariale guadagnando molto poco in rapporto al costo della vita e in confronto agli altri cittadini europei di Paesi con economie simili, per esempio i francesi o i tedeschi. Lavoriamo tanto, spesso male e siamo retribuiti malissimo».
«Vale per tutti ma soprattutto per i più giovani sui quali si è scaricato tutto il peso di una spinta liberalizzazione del mercato del lavoro, il cui bilancio più di vent’anni dopo non è affatto positivo. Ha assecondato un modello di sviluppo basato sul contenimento del costo del lavoro, su un terziario scadente, su una produttività assente, su bassi livelli di investimenti, sulla formazione per i formatori anziché per i lavoratori, sulla rinuncia (salvo la parentesi di Industria 4.0) di aggiornate politiche industriali. La questione è dunque antica. Come sa di antico la contrapposizione sull’introduzione anche da noi del salario minimo dopo l’intesa sulla direttiva europea», scrive su la Repubblica.
«Chi non lo vuole (la Confindustria e la Cisl, tra gli altri) difende sé stesso, il proprio ruolo, il proprio potere di interdizione. Ma il mondo — si è visto — è cambiato, anche se non sempre in meglio. Non c’è più il monopolio della rappresentanza sociale. I sindacati non rappresentano o stentano a rappresentare i giovani con un’occupazione precaria il cui datore di lavoro è spesso un algoritmo. È tempo che i sindacati e le associazioni di impresa si aggiornino (e non sarà facile) ma nel frattempo non impediscano che anche i lavoratori italiani (quelli più deboli e meno tutelati) abbiano riconosciuta una retribuzione minima stabilita dalla legge e non dai “contratti pirata”».
«La Germania con il suo modello di concertazione forte, industria ramificata e sindacalizzazione estesa ha il salario minimo legale, lo ha recentemente aggiornato a 12 euro l’ora, e nessuno si è stracciato le vesti. C’è una stretta correlazione tra pessime retribuzioni e instabilità del rapporto di lavoro. Chi investe nel capitale umano remunera adeguatamente i propri dipendenti, chi non lo fa applica la regola inversa».








