Si è fatto incandescente, ormai inestinguibile, il conflitto esistenziale che si sta combattendo tra l’Occidente e la Russia di Vladimir Putin, tra chi difende strenuamente i valori fondamentali della democrazia e del diritto internazionale e chi li calpesta con l’annessione della Crimea e con la invasione della Ucraina iniziata giusto due anni fa.
Alla sortita lanciata dal presidente francese Emmanuel Macron, che al termine di quella che sembrava essere solo un’ennesima Conferenza di sostegno all’Ucraina, aveva sbalordito tutti affermando da Parigi che ormai «nulla si può più escludere, neppure l’invio di truppe sul terreno», è seguita la replica durissima di Putin: nel Discorso sullo stato dell’Unione, non solo ha ricordato le sanguinose sconfitte di coloro che entrarono con i loro eserciti in Russia, alludendo chiaramente alle campagne di Napoleone e di Hitler, ma affermato che «ora le conseguenze per i potenziali invasori sarebbero molto più tragiche».
E ha aggiunto: «Devono capire che disponiamo anche di armi in grado di colpire obiettivi sul loro territorio.
Tutto quello che stanno inventando in questo momento, oltre a spaventare il mondo intero, è una reale minaccia di conflitto con l’uso di armi nucleari e quindi di distruzione di civiltà».
La Russia di Putin è dunque pronta a superare la soglia della mutua deterrenza che finora aveva fatto ritenere quasi impossibile l’uso delle armi nucleari: è un evento limite, possibile in teoria solo quando viene meno la razionalità del comportamento dell’avversario.
Gli impegni diplomatici che si erano appena susseguiti, pur concitati, con la tradizionale Conferenza annuale di Monaco sulla sicurezza e la prima riunione del G7 a guida italiana riunito a Kiev in occasione del secondo anniversario della invasione, non avevano dato fuoco alle polveri come ha fatto invece Macron che, con la sua affermazione, non solo ha elevato violentemente il livello dello scontro con la Russia di Putin, ma ha messo in difficoltà anche i suoi partner: Usa, Nato e Unione europea.
Le smentite immediate da parte di Washington e dello stesso Segretario generale della Nato, che ha affermato che non esistono piani in proposito, hanno dato ancora più risalto alle parole di Macron, secondo cui l’escalation è stata fin qui inevitabile: di mese in mese, ha ricordato, gli aiuti militari che inizialmente si ritenevano esagerati sono stati tutti concessi all’Ucraina.
E anche se in questo momento non vi è consenso sulla decisione di inviare truppe, c’è una dinamica.
C’è una ragione precisa dietro questa accelerazione di Macron: è consapevole del fatto che l’America è tornata a essere troppo lontana.
Che ritorni alla Casa Bianca Donald Trump, ovvero che venga rieletto Joe Biden, fa poca differenza: l’iniziale, incrollabile sostegno all’Ucraina si è già ridimensionato, da «fintanto che sarà necessario» a «fintanto che sarà possibile».
Il veto al Congresso da parte dei Repubblicani in ordine alla prosecuzione degli aiuti militari a Kiev ha fatto emergere i limiti politici degli altri protagonisti: il Regno Unito è fuori dall’Unione, e non riesce a esercitare una piena leadership sul Continente se non triangolando con la Polonia e cercando di strappare a Kiev relazioni politiche e militari privilegiate; la Germania è in piena crisi economica per via del venir meno del gas russo e industriale per la rivoluzione nel settore delle auto a trazione elettrica; la Nato, senza il contributo degli armamenti americani, è priva di peso; l’Unione Europea, che tra l’altro ha una Commissione a fine mandato, non ha alcuna autonomia sul tema dell’Ucraina che viene trattato esclusivamente a livello intergovernativo.
La Francia valorizza così il fatto di essere l’unica potenza nucleare dell’Unione Europea e di essere membro permanente del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, mettendo la Germania in una condizione di oggettiva minorità.
Stavolta, il casus belli è rappresentato dall’Ucraina, contesa da due assetti sostanzialmente imperiali per le mire espansive che li caratterizzano: da una parte c’è l’Occidente, inquadrato nella Nato a guida statunitense e nell’Unione Europea; dall’altra la Russia di Putin che vuole riscattare la dissoluzione dell’Urss, che considera la più grande catastrofe geopolitica del 900.








