I leader dell’Unione europea si stanno rendendo sempre più conto della dipendenza dell’Unione dalle aziende tecnologiche statunitensi per l’infrastruttura che alimenta tutto, dai sistemi sanitari alla difesa nazionale.
E questo timore si è rafforzato dopo l’elezione di Donald Trump, poiché l’incertezza sul suo impegno a lungo termine nei confronti dell’alleanza per la sicurezza transatlantica e la sua tendenza, nei negoziati, a confondere questioni quali commercio, difesa e regolamentazione, ha alimentato l’ansia degli europei sulla privacy e sull’accesso ai dati, sollevando preoccupazioni sul fatto che gli Stati Uniti potrebbero sospendere o bloccare del tutto le attività delle aziende tecnologiche statunitensi in Europa.
Al momento Amazon, Microsoft e Google controllano oltre due terzi del mercato europeo del cloud computing. Google e Apple prevalgono nei sistemi operativi per telefoni cellulari nell’Ue, mentre Google domina il mercato globale della ricerca. ChatGPT di OpenAI è il chatbot di intelligenza artificiale leader in Europa, mentre le piattaforme di social media utilizzate da milioni di europei sono per lo più di proprietà statunitense.
Proprio come nel settore della difesa, la dipendenza transatlantica dalla tecnologia è diventata un problema geopolitico, amplificando le richieste di lunga data all’Europa di investire di più e persino di favorire le proprie aziende negli appalti.
In un simbolico omaggio a questa nuova consapevolezza, la finlandese Henna Virkkunen, che ha assunto l’incarico a dicembre di nuova commissaria europea per la tecnologia, ha aggiunto al suo titolo l’appellativo di “sovranità tecnologica”. Virkkunen intende concentrarsi sull’indipendenza dell’Europa in settori come l’informatica quantistica, l’intelligenza artificiale e i semiconduttori.
“Queste sono considerate tecnologie critiche ed è importante che sviluppiamo le nostre capacità in questo campo”, ha dichiarato al Financial Times.
Max von Thun, direttore per l’Europa e i partenariati transatlantici presso l’Open Markets Institute, afferma che la “militarizzazione” delle dipendenze tecnologiche da parte dei governi e il predominio sul mercato dei gruppi tecnologici statunitensi “hanno dimostrato come mai prima la necessità per l’Europa di promuovere un settore tecnologico locale indipendente, aperto e resiliente”.
Ma mentre l’Europa passa dall’analisi del problema alla proposta di possibili soluzioni, si ritrova a fare i conti con le proprie debolezze. Solo una manciata delle prime 50 aziende tecnologiche al mondo sono europee. Le startup tecnologiche della regione sono frammentate, hanno una normativa incerta e scarseggiano di capitali di rischio in grado di sostenerle nei finanziamenti.
“Se vuoi acquistare prodotti europei, devi acquistare qualcosa che sia prodotto nell’Unione Europea”, afferma Dariusz Standerski, segretario di Stato presso il ministero degli Affari digitali della Polonia, che ha presieduto le riunioni dei ministri del digitale dell’Unione mentre la Polonia deteneva la presidenza di turno dell’Ue.
In un rapporto fondamentale sulla competitività dell’UE pubblicato lo scorso anno, l’ex primo ministro italiano Mario Draghi aveva dimostrato chiaramente che l’Europa ha visto ampliarsi il suo divario di produttività con gli Stati Uniti principalmente a causa della debolezza dell’Ue nelle tecnologie emergenti.
Per Andy Yen, fondatore e amministratore delegato di Proton, il gruppo con sede a Ginevra che ha ideato ProtonMail e altre applicazioni incentrate sulla privacy, il dibattito sulla promozione di gruppi tecnologici locali verte proprio su questo.
“Se non investiamo nella tecnologia in Europa, stiamo semplicemente rinunciando al principale motore di crescita economica”, ha dichiarato al Ft. “Queste sono le aziende che creeranno posti di lavoro ben retribuiti, profitti e ricavi elevati, che ci consentiranno di finanziare il nostro sistema sociale”.
Secondo il Ft il sistema di intelligenza artificiale francese Mistral è un esempio delle difficoltà che l’Europa incontra nel trarre vantaggio da promettenti inizi nella tecnologia di prossima generazione. Un tempo acclamata come potenziale leader globale nell’intelligenza artificiale, ha perso terreno rispetto ai rivali statunitensi sostenuti dai gruppi Big Tech e, come molti altri, è rimasta sorpresa dalle capacità della cinese DeepSeek.
Nel frattempo, l’Unione sta faticando a bilanciare la sfida della regolamentazione dell’intelligenza artificiale con la necessità di attrarre investimenti e talenti sufficienti per aumentare la capacità di calcolo al suo interno.
Questo ci riporta direttamente al cloud computing, una priorità immediata per ridurre la dipendenza dai gruppi tecnologici statunitensi. Con sempre più governi, aziende e cittadini che trasferiscono i dati dai server on-premise a un ambiente basato sul cloud, i data center e i relativi cablaggi sono diventati infrastrutture critiche per la vita moderna.
Le aziende statunitensi dominano il mercato cloud europeo, suscitando preoccupazioni tra i decisori politici e i leader del settore europei sul fatto che la legge statunitense, in particolare il Cloud Act, potrebbe incoraggiare l’amministrazione Trump a esercitare maggiore influenza sui dati europei, anche se archiviati su server situati in Europa.
Ciò è preoccupante perché Washington è passata dal lamentarsi delle normative e delle misure di controllo dell’Ue sulla tecnologia al contestare tali decisioni e “associarle a minacce sui dazi, a volte persino collegandole a decisioni sulla sicurezza che potrebbero avere un impatto negativo sul continente”, afferma Zach Meyers, del think-tank Centre on Regulation in Europe.
Istituzioni chiave, tra cui la Commissione Europea, sono ora in trattativa con attori come OVHcloud, fornitore di servizi di cloud computing, per trasferire alcuni dei loro servizi cloud dalle aziende statunitensi, al fine di migliorare l’autonomia digitale dell’Europa.
Entro la fine dell’anno, la Commissione europea presenterà un nuovo atto volto ad affrontare il divario dell’Europa nella capacità delle infrastrutture cloud e di intelligenza artificiale, comprese azioni volte ad aumentare la capacità di elaborazione sicura dei fornitori di servizi cloud con sede nell’Ue.
I funzionari dell’Ue stanno ancora riflettendo se e come includere nella legislazione le disposizioni “Buy European” (che favorirebbero le aziende europee rispetto a quelle americane), cercando comunque di rispettare l’accordo dell’Organizzazione mondiale del commercio sugli appalti pubblici.
Questa sembra essere sempre più la direzione che prenderà l’Europa. L’Unione ha già annunciato di volere che i governi dell’Ue escludano gli offerenti stranieri dagli appalti pubblici nella sua prossima direttiva sugli appalti pubblici, che il commissario europeo per la prosperità e la strategia industriale, Stéphane Séjourné, ha definito un “Buy European Act”.
Séjourné, ex ministro degli Esteri francese e stretto alleato del presidente Macron ha dichiarato al FT che, a suo avviso, favorire gli offerenti europei negli appalti pubblici è un “primo passo”.
Pur astenendosi dal confermare che avrebbe insistito per tali clausole nella prossima iniziativa cloud, Séjourné ha affermato che erano necessari interventi in ambiti del settore privato in cui l’Europa dipendeva totalmente da un paese, sostenendo che “nel settore tecnologico dipendiamo moltissimo dagli americani”.
Marc Ferracci, ministro dell’Industria francese, è stato più specifico, dicendo ai giornalisti che le clausole “Acquista europeo” dovrebbero essere applicate ai settori critici, aggiungendo che per lui “i data center cloud, in particolare le infrastrutture server, sono un settore estremamente critico”.
Di fronte alla prospettiva di vedersi sottrarre terreno, le Big Tech stanno combattendo. Negli ultimi mesi, Microsoft, Google e Amazon hanno annunciato le cosiddette offerte di cloud sovrano, progettate per mantenere il controllo sui dati e sulle operazioni all’interno di una specifica area geografica, per rassicurare i propri clienti europei.
In conversazioni private, diversi lobbisti e dirigenti delle Big Tech hanno espresso fiducia nella loro capacità di continuare a dominare il mercato europeo, data la scarsità di alternative nazionali e la mancanza di urgenza da parte di molti consumatori.
Inoltre, il dibattito sulla sovranità digitale va ben oltre il cloud computing, toccando tutte le infrastrutture digitali e il loro utilizzo.
Una crescente consapevolezza ha portato a iniziative come EuroStack, di matrice tedesca, che mira a costruire un’infrastruttura tecnologica europea e invita i responsabili politici non solo a dare priorità alle aziende europee negli appalti pubblici, ma anche a istituire un fondo per stimolare la tecnologia nazionale.
EuroStack sostiene che nel prossimo decennio saranno necessari investimenti per 300 miliardi di euro.
Altre stime indicano un importo pari a 5.000 miliardi di euro.
Anche se l’UE potesse mettere in comune finanziamenti pubblici e privati per potenziare la propria infrastruttura digitale, come sostengono funzionari e ricercatori, ciò rischierebbe di richiedere troppo tempo o di non concretizzarsi affatto.
Per altri, il dibattito deve spostarsi oltre la questione infrastrutturale.
“Ciò che ci manca non sono i chip e i data center” – ha affermato Christian Klein, amministratore delegato della SAP tedesca, il più grande gruppo software europeo – “Ci mancano le persone e i talenti necessari per applicare l’intelligenza artificiale nel contesto di cui abbiamo bisogno in Europa”.