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L’Ue taglia le stime economiche per l’Italia a causa dei dazi, ma ci sarà meno inflazione e più lavoro | Lo scenario

Le ultime stime economiche pubblicate dalla Commissione Europea offrono uno spaccato preoccupante per l’Italia e gli altri Paesi dell’Unione Europea, a causa delle ripercussioni dei dazi commerciali imposti dagli Stati Uniti e delle contromisure adottate dall’Europa.

La revisione al ribasso delle previsioni di crescita è stata sostanziale e ha messo in evidenza le difficoltà strutturali del nostro Paese, che si troverà a fronteggiare non solo le sfide legate alla geopolitica internazionale ma anche gli effetti interni di politiche fiscali ancora in fase di assestamento.

Per l’Italia, la Commissione Europea ha ridotto la previsione di crescita del PIL per il 2025, fissandola allo 0,7%, con una leggera risalita allo 0,9% nel 2026.

Rispetto alle stime di febbraio, quando si parlava di un 1,2% di crescita per il 2025, si tratta di un significativo passo indietro.

Il rallentamento economico è in gran parte dovuto agli effetti collaterali della guerra commerciale tra Stati Uniti e Unione Europea, ma anche alla persistente instabilità interna, caratterizzata da un debito pubblico che continua a salire e un sistema produttivo che stenta a trovare slancio.

In generale, la crescita nell’area euro è attesa allo 0,9% per quest’anno, ma anche in questo caso la situazione è ben lontana dalle aspettative di crescita precedenti.

Le previsioni della Commissione, infatti, pongono l’accento su un futuro economico incerto, dove l’imprevedibilità delle politiche internazionali e l’effetto a lungo termine dei dazi statunitensi sono fattori chiave che potrebbero influire negativamente sul recupero.

Un altro aspetto critico riguarda la traiettoria del debito pubblico.

Nonostante il miglioramento delle previsioni sul deficit (che dovrebbe scendere al 3,3% nel 2025 e al 2,9% nel 2026), la Commissione Europea prevede un incremento del debito italiano, che è destinato a salire dal 135,3% del PIL nel 2024 al 136,7% nel 2025, fino a toccare il 138,2% nel 2026.

Questo aumento è in gran parte legato agli effetti posticipati dei crediti fiscali derivanti dal Superbonus per l’edilizia, che continua a rappresentare un onere pesante per le finanze pubbliche.

Il rallentamento della crescita economica e l’assenza di riforme strutturali incisive contribuiscono a rendere il debito un fardello difficile da smaltire.

Con l’economia che fatica a risalire, la spesa pubblica è destinata a restare elevata, alimentando un circolo vizioso che rende sempre più difficile rientrare nei parametri del Patto di Stabilità.

Un dato positivo che emerge dalle previsioni di Bruxelles riguarda la disoccupazione, che dovrebbe registrare un calo significativo, passando dal 6,5% nel 2024 al 5,9% quest’anno.

Un miglioramento che lascia ben sperare per il futuro, anche se la riduzione del tasso di disoccupazione non sembra essere accompagnata da un corrispondente aumento della produttività, elemento cruciale per garantire una crescita sostenibile a lungo termine.

Tuttavia, il miglioramento occupazionale non è una panacea.

Non possiamo ignorare che buona parte dei nuovi posti di lavoro siano legati a settori a bassa produttività e che le sfide per il mondo del lavoro restano ampie.

È necessario lavorare su politiche che favoriscano l’innovazione, la digitalizzazione e l’adozione di tecnologie avanzate, se vogliamo davvero ridurre la disoccupazione in modo strutturale.

Il capitolo inflazione è meno drammatico di quanto previsto in passato.

L’Italia dovrebbe registrare un’inflazione dell’1,8% quest’anno, con una leggera frenata all’1,5% nel 2026.

Un trend simile è previsto per l’area euro, che vedrà l’inflazione scendere dal 2,1% nel 2025 all’1,7% nel 2026.

Questo potrebbe consentire alla Banca Centrale Europea di adottare politiche monetarie più accomodanti, con possibili riduzioni dei tassi d’interesse, soprattutto se la guerra commerciale con gli USA dovesse trovare una soluzione.

Tuttavia, come ricordato dal Commissario europeo all’Economia, Valdis Dombrovskis, l’incertezza che caratterizza il contesto economico attuale è paragonabile a quella dei momenti più critici della pandemia.

E le incertezze sui tassi di cambio e sugli effetti di una valuta euro più forte potrebbero avere effetti negativi sulle esportazioni, che rappresentano una componente essenziale della crescita.

In sintesi, le previsioni per l’Italia rimangono divergenti.

Se da un lato c’è una chiara diminuzione delle aspettative di crescita, dall’altro emergono alcuni segnali di miglioramento, come il calo della disoccupazione e il contenimento dell’inflazione.

Tuttavia, il Paese dovrà fare i conti con il continuo aumento del debito pubblico, con una ripresa economica che appare ancora lontana, e con una dipendenza crescente dagli sviluppi geopolitici globali.

La sfida per l’Italia sarà quella di intraprendere un percorso di riforme strutturali in grado di stimolare la crescita, ridurre il debito e, soprattutto, rendere l’economia più competitiva e resiliente di fronte alle incertezze globali.

Un compito arduo, ma non impossibile, se si troverà la volontà politica di agire con determinazione.

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