Intervento del dott. Lorenzo Marconi, specialista in Malattie Infettive in forza presso l’UO Malattie Infettive del Policlinico di Sant’Orsola di Bologna ove presta assistenza nel contesto del reparto di degenza, visite ambulatoriali e consulenze infettivologiche. Dal 2018 co-coordinatore del Vax-consilium, organo regionale di counselling su problematiche vaccinali complesse a cui afferisce tutta l’Emilia Romagna. Ha organizzato e coordinato parte della campagna vaccinale anti-COVID-19 presso il Policlinico dedicata ai pazienti immunodepressi. Nel 2023 ha pianificato nel dettaglio il progetto “Ospedale che Vaccina”, che si propone di abbattere il rischio infettivo dei pazienti più fragili ed immunocompromessi afferenti al Policlinico di Sant’Orsola. Questo servizio comporta una valutazione individualizzata del singolo paziente ed una pronta messa in atto di tutti gli interventi profilattici raccomandati, incluse le vaccinazioni in collaborazione con il Dipartimento di Sanità Pubblica.
Sono trascorsi solamente tre anni da quando l’Italia ha notificato i suoi primi casi di infezione da SARS-CoV2. In questi anni il virus SARS-CoV2 è evoluto in modo frenetico, acquisendo e affinando caratteristiche che ne hanno rivoluzionato epidemiologia ed espressione clinica. Come sappiamo questa evoluzione non è avvenuta gradualmente, ma per balzi, con una rapida successione di varianti virali: dopo il ceppo Wuhan originario, le principali varianti nel nostro territorio sono state Alpha (B.1.1.7), Delta (B.1.617.2) e Omicron con le sue sottovarianti (BA.1, BA.2, BA.4, BA.5 e più recentemente BQ.1).
In particolare l’avvento della variante Omicron (gennaio 2022) ha determinato il picco epidemico più marcato dall’inizio della pandemia. Questa impennata di casi è da ricondurre non solo ad un marcato aumento della contagiosità virale, ma soprattutto ad una notevole capacità di evadere l’immunità pregressa (sia quella acquisita tramite vaccinazione sia da pregressa infezione).
Infatti, nelle prime fasi pandemiche, la vaccinazione anti-COVID-19 era risultata in grado di proteggere efficacemente non solo contro le forme gravi, ma anche dalla semplice infezione, prevenendo addirittura il 60-80% dei contagi [1,2]. La vaccinazione è divenuta, pertanto, nelle prime fasi uno strumento di fondamentale importanza nel contenimento epidemiologico dell’infezione da SARS-CoV2. Sfortunatamente, con l’avvento della variante Omicron si è assistito ad un tracollo della protezione dal contagio, con valori stimati attorno a 8-15% dopo il ciclo vaccinale primario [3].
La capacità evasiva delle sottovarianti Omicron è talmente incrementata che, nonostante una o più dosi booster di vaccino originario, il guadagno contro la trasmissione del virus resta, tutto sommato, limitato. Per esempio, secondo un recente studio israeliano, la seconda dose booster (nota comunemente come “quarta dose”), riduce il rischio di contagio da Omicron del 50% rispetto a chi ha fatto solo 3 dosi, ma con effetto solamente temporaneo per 2-3 mesi [4,5].
In altre parole, grazie alla sua contagiosità ed alla spiccata evasività immunitaria, la variante Omicron non è più controllabile né con misure epidemiologiche restrittive, né con misure profilattiche farmacologiche o vaccinali.
Fortunatamente la protezione vaccinale contro le forme gravi di COVID-19 da variante Omicron resta eccellente [6]. Questo è un dato di fondamentale importanza, che deve essere sommato al fatto che tutte le sottovarianti Omicron hanno mostrato una ridotta aggressività clinica rispetto ai ceppi precedenti.
Quindi, nonostante l’elevato livello di endemia, l’infezione da SARS-CoV2 non comporta più un elevato rischio di ospedalizzazione e decesso nella grande maggioranza della popolazione, efficacemente protetta da vaccinazione/pregressa infezione. Per tali motivi tutto il mondo ha progressivamente abbandonato la strategia “Zero COVID”, per favorire una progressiva convivenza con il virus.
Nel 2022 il numero di ricoveri COVID è sicuramente calato, coinvolgendo prevalentemente 3 categorie di pazienti:
- Soggetti immunodepressi non-responder alla vaccinazione con polmonite grave da COVID-19 (Breakthrough infection) o con infezioni da SARS-CoV2 particolarmente prolungate nel tempo (Persistent COVID).
- Pazienti anziani con molteplici comorbidità che hanno contratto l’infezione da SARS-CoV2 in forma lieve, ma che vengono ricoverati per complicazioni (sovrainfezione batterica polmonare, scompenso cardio-metabolico, deterioramento cognitivo, cadute e traumi).
- Pazienti ricoverati per patologie indipendenti da COVID-19, con riscontro incidentale di infezione da SARS-CoV2, che decorre in modo asintomatico o comunque non clinicamente rilevante. Anche se l’infezione da SARS-CoV2 non porta gravi conseguenze, il ricovero di questi pazienti è complicato da problematiche logistiche correlate alle misure di isolamento ospedaliero.
Nonostante l’indiscutibile successo della campagna vaccinale anti-COVID-19, queste particolari categorie di pazienti restano tuttora vulnerabili all’infezione da SARS-CoV2. Per questi soggetti “fragili”, evitare una reinfezione è sicuramente un importante obiettivo e, per tale motivo, vi è grande interesse nei confronti dei nuovi vaccini anti-COVID-19 bivalenti, che sono stati realizzati per generare una risposta immunitaria specifica contro la variante Omicron.
Questi vaccini bivalenti sono molto simili a quelli monovalenti originari: contengono infatti gli stessi identici eccipienti e la stessa quantità di RNA messaggero. Quello che differisce dai vaccini monovalenti originari sta nel fatto che il 50% di questo mRNA codifica per la proteina Spike di Omicron, mentre il restante 50% codifica per la Spike del ceppo Wuhan ancestrale (già contenuta nei vaccini “vecchi”). Questi vaccini aggiornati vengono chiamati bivalenti proprio perché contengono materiale genetico relativo a due varianti di SARS-CoV2.
Attualmente i vaccini bivalenti autorizzati sono di due tipi: un vaccino bivalente specifico per la variante Omicron BA.1 (commercializzato sia da Pfizer/BionTech che da Moderna) ed un vaccino bivalente specifico per la variante Omicron BA.4-5 (anch’esso commercializzato sia da Pfizer/BionTech che da Moderna).
Il profilo di sicurezza e di reattogenicità del vaccino bivalente è risultato sovrapponibile al vaccino originario [7]. Questo era d’altronde atteso dato che la composizione dei vaccini bivalenti differisce in modo veramente minimo dai vaccini monovalenti originari.
Gli studi di immunogenicità confermano come i vaccini bivalenti siano in grado di generare un titolo anticorpale neutralizzante più elevato contro la variante Omicron rispetto ai vaccini monovalenti originari.
Le evidenze sull’efficacia clinica dei vaccini anti-COVID-19 bivalenti sono limitate, ma sono stati recentemente pubblicati alcuni studi di real life che confermano un significativo guadagno in termini di protezione clinica sia dalle infezioni sintomatiche, che dalle forme gravi con necessità di ospedalizzazione.
Anche se non è possibile ad oggi confrontare direttamente l’efficacia clinica dei vaccini bivalenti con quella dei monovalenti, i risultati descritti in questi studi preliminari sono incoraggianti.
Per un soggetto di età superiore a 65 anni, che ha già ricevuto 3 dosi, ricevere il vaccino bivalente riduce il rischio di infezione sintomatica da SARS-CoV2 del 20-50% e di ospedalizzazione in corso di COVID-19 del 40-70% [8–12].
L’impiego clinico dei vaccini anti-COVID-19 bivalenti è stato autorizzato da EMA e successivamente anche da AIFA a partire dal 01/09/22 [13–16].
Questi possono essere somministrati solo come dose booster in soggetti a partire dai 5 anni di età, che abbiano già ricevuto il ciclo vaccinale primario anti-COVID-19.
Questa bose booster Omicron-specifica può essere somministrata a distanza di almeno 4 mesi dall’ultima dose o dalla recente infezione da SARS-CoV2 ed è fortemente raccomandata come:
- Prima dose booster (“terza dose”) per tutti coloro che non l’avessero ancora ricevuta.
- Seconda dose booster (“quarta dose”) in soggetti al di sopra dei 60 anni di età o con patologie/fattori di rischio per COVID-19 grave (incluse donne in gravidanza e ospiti di strutture residenziali).
- Seconda dose booster (“quarta dose”) per operatori sanitari e operatori di strutture residenziali.
- Seconda dose booster (“quinta dose”) nei pazienti immunodepressi, nei quali il ciclo vaccinale primario consta di 3 dosi.
Se non vi sono dubbi sulla raccomandazione alla somministrazione del vaccino anti-COVID-19 bivalente nelle categorie di soggetti a rischio, vi è invece dibattito nella comunità scientifica in merito alla raccomandazione nel resto della popolazione non a rischio [17]. Secondo le direttive ministeriali, in ogni caso, il vaccino bivalente è disponibile per chiunque desideri essere vaccinato, anche al di fuori delle raccomandazioni sopra riportate.
La vaccinazione è una delle più grandi scoperte mediche mai fatte dall’uomo, la cui importanza è paragonabile, per impatto sulla salute, all’acqua potabile [18]. Senza dubbio i vaccini anti-COVID-19 sono il principale strumento con cui stiamo riuscendo a vincere la lotta contro SARS-CoV2. Questi vaccini bivalenti devono essere considerati un ulteriore passo avanti per la medicina moderna. Infatti la tecnologia vaccinale a mRNA possiede il grandissimo pregio di essere estremamente versatile, consentendo di ingegnerizzare e produrre vaccini aggiornati molto più velocemente ed efficacemente rispetto alle piattaforme vaccinali convenzionali.
I vaccini anti-COVID-19 a mRNA saranno solamente i primi di una lunga serie di nuove vaccinazioni dirette contro numerose importanti malattie infettive, con la speranza di poter replicare il grande successo ottenuto contro la pandemia di SARS-CoV2.








