Si è aperta ieri a Baku la Cop29, conferenza annuale contro il cambiamento climatico.
All’ordine del giorno vi è come garantire lo sviluppo della finanza per il clima.
I paesi più sviluppati l’anno scorso alla Cop28 di Dubai hanno riconosciuto la loro responsabilità per i danni che il clima sta producendo nelle economie più fragili e meno sviluppate e si sono impegnati ad approvare criteri e impegni concreti (si parla di 1000 miliardi).
Uno degli obiettivi è coinvolgere le economie di nuova industrializzazione, la Cina soprattutto, che oramai ha emissioni pro capite superiori a quelle europee per più di un terzo, anche se ancora pari alla metà di quelle statunitensi.
Tutti obiettivi non facili e che non possono più contare nel rush finale dei due promotori del compromesso raggiunto l’anno scorso tra paesi sviluppati e paesi dove i danni prodotti dal clima sono elevati e le possibilità di farvi fronte molto limitate: Kerry per gli Usa e Timmermans per l’Europa sono oramai usciti di scena e l’ombra del “negazionista climatico” Trump, pronto a uscire per la seconda volta dagli accordi di Parigi sul clima, sovrasta l’evento.
Tanto più che nessun importante capo di stato o di governo ha annunciato la propria presenza a Baku.
Ma sarebbe da catastrofisti dichiarare in anticipo il fallimento della Cop29.








