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Lo spread scende ancora, risparmio per 10 miliardi | L’analisi

Per la terza volta in quindici anni lo spread tra i Btp italiani e i Bund tedeschi scende sotto la soglia psicologica dei 100 punti base.

Era dal settembre 2021 – in piena “era Draghi” – che non si registrava un differenziale così contenuto.

Un traguardo raro e significativo, che oggi torna a farsi vedere non per caso, ma come risultato di una doppia traiettoria: quella virtuosa imboccata dall’Italia e quella più incerta intrapresa dalla locomotiva tedesca.

La discesa sotto quota 100 – toccati i 99,9 punti prima di un lieve rimbalzo – è molto più di un numero.

È un cambio di percezione. È il mercato che, dopo anni di scetticismo, torna a credere che Roma possa tenere in ordine i conti, governare il debito, e magari anche crescere.

E se lo spread si sgonfia, non è soltanto grazie alla politica monetaria più morbida della Bce o al clima geopolitico che si va rasserenando, ma per una precisa scelta di responsabilità italiana.

Un cambio di marcia riconosciuto anche da chi, fino a poco tempo fa, guardava al Paese con sospetto.

Non a caso, il declassamento atteso da S&P Global non è arrivato.

Al contrario: l’11 aprile, l’agenzia ha alzato il rating del debito pubblico italiano a BBB+ con outlook stabile.

Una promozione che pesa. E che poggia su due pilastri: un deficit previsto al 3,4% nel 2024 – sopra l’asticella di Maastricht ma comunque in calo – e un ritorno all’avanzo primario, quel surplus che indica quanto lo Stato incassi più di quanto spenda al netto degli interessi sul debito.

Ma c’è di più. L’Ufficio Parlamentare di Bilancio ha stimato che, nel solo biennio 2025-2026, il calo dello spread potrebbe tradursi in un risparmio di 10,5 miliardi di euro in minori interessi da pagare.

Una cifra che, come ha sottolineato la premier Meloni, «potrà essere destinata a sanità, istruzione e sostegno ai redditi più bassi».

In altre parole: uno spread basso non è solo un conforto per gli analisti, è una leva di politica sociale.

Naturalmente, non tutto è rosa. I rendimenti dei Btp decennali viaggiano oggi al 3,67%, ben lontani dai minimi di dicembre (3,18%).

Il che significa che, rispetto a fine 2024, lo Stato italiano dovrà comunque offrire interessi più generosi per finanziare il proprio debito.

Ma il segnale che arriva dai mercati è inequivocabile.

E qui entra in scena il secondo attore di questa parabola: la Germania.

Per anni modello di virtù fiscale e rigore economico, Berlino oggi non è più il riferimento intoccabile.

L’economia tedesca arranca, zavorrata da un sistema industriale in affanno, transizione energetica caotica e stagnazione dell’export.

I Bund non sono più il bene rifugio per eccellenza.

E se lo spread scende, non è solo per merito dell’Italia, ma anche per demerito della Germania.

Una tesi che oggi si fa sempre più concreta: i mercati non guardano solo ai fondamentali economici, ma anche alla direzione politica.

Roma, con tutti i suoi limiti, offre oggi maggiore chiarezza e visione prospettica rispetto a Berlino, intrappolata in una coalizione litigiosa e con una politica industriale da reinventare.

Per una volta, l’Italia non è la pecora nera d’Europa.

È il bond italiano a offrire certezze. Lo spread a tre cifre – un tempo simbolo di rischio e disordine – oggi è solo un ricordo.

E se si resta sotto quota 100 è un passo in avanti verso la normalità.

E in questa normalità conquistata con fatica, c’è anche un pezzo di orgoglio.

Ma anche una sfida: quella di non sprecare il dividendo della fiducia.

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