Fino al 2020 lo spread della Francia era tra i più bassi dell’Eurozona. Negli ultimi anni si è alzato, mentre quello dei PIIGS, un tempo considerati più rischiosi, si è abbassato: i titoli francesi hanno ora tassi d’interesse superiori a Grecia, Spagna e Portogallo e molto vicini a quelli italiani. In rapporto al Pil, il debito pubblico della Francia si colloca ora al 113% e, secondo il Fondo Monetario, se non cambiano le politiche è destinato a superare presto il 130%.
Il caso francese è diverso da quello italiano perché in Francia non è mancata la crescita economica e il cosiddetto effetto snowball (che dipende dalla differenza fra tasso di interesse e tasso di crescita) è stato generalmente favorevole, mentre in Italia è accaduto il contrario per gran parte degli ultimi trent’anni.
L’Italia ha principalmente bisogno di riforme per la crescita. La Francia ha invece bisogno di ridurre la spesa pubblica, che ha raggiunto il 53% del Pil ed è fra le più alte al mondo. La spesa è composta principalmente da uscite per il welfare: pensioni (13% del Pil), sanità e altre forme di protezione sociale.
Il caso francese ci consegna due lezioni. La prima è di natura tecnica: non basta avere un effetto snowball favorevole, bisogna anche realizzare una gestione oculata dei conti pubblici. La seconda è più politica e guarda alla crisi di governo e alle proteste di piazza degli ultimi giorni: è facile aumentare la spesa, ma è quasi impossibile ridurla.
Questo dovrebbe indurre a riflettere chi, in questi anni, ha cercato di resuscitare l’antica teoria del bilancio pubblico come strumento per il governo del ciclo economico. A volte è necessario usarlo, ma va fatto con molta parsimonia.