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[Lo scenario] Non possono essere le banche centrali a definire le politiche dei governi

Mentre a Bruxelles si sta progettando in questi giorni una variante del price cap per il gas, e in Italia si avvia in queste ore la formazione della legge di bilancio tra vincoli e opportunità, tiene banco la politica monetaria con gli interventi di quei componenti del Consiglio direttivo della Bce annoverabili tra le colombe, ma che in effetti sono quelli che si muovono su schemi realistici, supportati da motivazioni adeguate e con una vista più lunga di quegli altri componenti classificati come falchi.

Tra i primi, sono più volte intervenuti in questi giorni, con una certa assonanza, il componente l’esecutivo della Banca centrale, Fabio Panetta, e il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco. I cosiddetti falchi per ora appaiono defilati, fidando verosimilmente sul comportamento della presidente, Christine Lagarde, che negli ultimi tempi sembra essersi avvicinata alle loro posizioni, magari non però a quelle che sembrano estreme del presidente della Bundesbank, Joachim Nagel.

I sostenitori della scelta realistica danno per scontato che nella riunione del Direttivo del 15 dicembre si deciderà un nuovo aumento dei tassi di riferimento, anche se ciò viene rappresentato abbastanza pudicamente come un ulteriore passo verso la normalizzazione della politica monetaria, mentre, però, si prevede l’entrata dell’eurozona in recessione tra il quarto trimestre di quest’ anno e il primo del 2023.

Il concetto che domina, nel governo della moneta, è quello di continuare la linea restrittiva, ma con un approccio meno aggressivo. Insomma, tutto si concentra sui dosaggi, sul più e sul meno di una impostazione che resta articolatamente aggressiva.

Visco insiste sulla necessità di prevenire una rincorsa prezzi-salari che rinfocolerebbe l’inflazione, ormai al 12%, replicando quanto accadde in Italia negli anni 70 del Novecento con l’azione della scala mobile. Il riferimento, comunque, è solo un monito generico, considerata l’enorme diversità della situazione di allora, con il ruolo, nell’economia, delle indicizzazioni non solo salariali, ma anche finanziarie e contrattuali, rispetto all’oggi.

In ogni caso, l’insistenza ora, non essendoci più la scala mobile, sul rischio della predetta spirale è puntualmente accompagnata dall’affermazione secondo la quale non si riscontrano casi o sintomi dell’innesco di un tale deteriore avvitamento dei prezzi. Insomma, si tratta di un caveat largamente anticipato.

Si afferma, comunque, che il sostegno ai redditi, attaccati da quella imposta iniqua che è l’inflazione deve riguardare le fasce meno favorite ed essere in tal modo mirato e temporaneo.

L’inflazione, d’altro canto, non potrebbe essere lasciata priva di una forte azione di contrasto, ma neppure si può arrivare a prezzi che si attestino sotto il target previsto per il mantenimento della loro stabilità – ipotesi, questa, adesso molto lontana – secondo il mandato che la Bce deve assolvere. In questo contesto, sembra passare in secondo piano il pur difficile problema delle azioni per la crescita e, più da vicino, il tema della liquidità per le imprese e le famiglie.

Come bilanciare queste divaricate esigenze, non confidando in sperati effetti automatici del contrasto dell’inflazione su questi altri fondamentali versanti, costituisce il punctum dolens. Panetta ha opportunamente fatto spesso riferimento, nei suoi ultimi discorsi, al ruolo che può avere l’Unione con specifici piani ispirati al Next Generation Eu.

Certo, i discorsi dei banchieri centrali vanno anche recepiti nel presupposto della loro fisiologica parzialità, dell’angolo visuale nel quale si pongono, non potendosi ritenere che essi prospettino un organico programma di governo.

Il mantenimento della stabilità dei prezzi e della connessa stabilità finanziaria è solo un pilastro della più generale azione di politica economica che spetta ai governi, a livello nazionale e accentrato per le diverse competenze. Non possono essere le banche centrali a definire le politiche dei governi. Occorre un raccordo biunivoco, tra la leva monetaria e quella della politica economica.

A maggior ragione quando, come nel nostro caso, le previsioni della Bce sul carattere e sulla durata dell’inflazione sono state clamorosamente smentite con conseguenti danni per l’economia essendo mancata un’azione d’anticipo anti-inflazione e non potendo esservi al riguardo una valida giustificazione perché i modelli previsivi con contengono i mutamenti geopolitici: i banchieri non sono di certo degli automi che riflettano soltanto i modelli econometrici.

Neppure sono delle monadi e hanno il dovere di seguire, con le potenti strutture a disposizione, l’evoluzione, a livello dei singoli Paesi e internazionale, l’evoluzione dell’economia (cosa scontata), ma anche istituzionale, politica, sociale, geopolitica. E ciò per il contributo che il monitoraggio può dare al loro agire.

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