Il 15 dicembre scorso l’ISTAT ha comunicato che a Novembre 2023 la stima dell’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività (NIC), al lordo dei tabacchi, registra una diminuzione dello 0,5% su base mensile e un aumento di 0,7% su base annua, da +1,7% nel mese precedente (la stima preliminare era +0,8%).
La decelerazione del tasso di inflazione si deve prevalentemente ai prezzi degli energetici e ad alcune tipologie di servizi; gli alimentari presentano un minore rallentamento rimanendo sopra al 5%.
L’inflazione si pone quindi a novembre a +0,7%, similare al febbraio 2021 +0,6%, frutto anche della stretta monetaria della BCE che ha deciso sempre il 15 dicembre di mantenere i tassi invariati, pur non abbassando la guardia, la partita non è ancora vinta.
L’inflazione frena ma secondo Bankitalia quella al consumo sarebbe pari al 6% nella media di quest’anno, con previsione di una diminuzione significativa per il complessivo prossimo triennio, in media sotto al 2%.
La strada è ancora lunga e Bankitalia evidenzia segnali di una più prolungata debolezza congiunturale per il 2024, tagliando la stima sulla crescita economica ad un più contenuto 0,6% rispetto allo 0,8% previsto ad ottobre.
Nel biennio successivo 2025/26 si tornerebbe di poco sopra all’1%, principalmente per effetto di una previsione di tassi di interesse lievemente più contenuti.
In questo scenario il nostro Paese, seconda manifattura d’Europa dietro solo alla Germania, presenta buoni dati alla produzione grazie principalmente ad un export migliore degli altri paesi UE; si fatica maggiormente lato consumi interni dove permane un gap di potere d’acquisto dei nostri stipendi.
Una ricetta quella dell’export che sembra vincente e sotto questo aspetto è singolare quanto accade in Emilia, nello specifico e più evidente in quei cento chilometri della via Emilia che partono da Parma per arrivare a Bologna.
Assistiamo da tempo ad una migliore performance di crescita dei distretti industriali spesso in controtendenza positiva rispetto alla media nazionale.
Distretti ampiamente diversificati, dall’agroalimentare (alimentare in senso stretto, salumi, lattiero caseario…), alla meccanica (imballaggio, meccatronica, food machinery, macchine agricole) senza dimenticare piastrelle, automotive e biomedicale.
Settori caratterizzati da una alta specializzazione produttiva ad elevata qualità e valore aggiunto che sfocia poi in vantaggio competitivo.
Investimenti in tecnologia, robotica, digitalizzazione, rappresentano e rappresenteranno una discriminante indispensabile per continuare a competere.
Non demonizziamo l’intelligenza artificiale, servirà per accelerare i processi; non dovrà provocare distorsioni e questo dipenderà dall’uomo.
Quest’ultima non può superare l’uomo, può solo emularlo.
La persona sarà sempre il punto di partenza della creatività, dell’innovazione e del progredire.
Non spaventiamoci, potranno si scomparire mestieri ma ne nasceranno altri, è sempre stato così.
Per tornare alla virtuosità dei cento chilometri della via Emilia, come si diceva, senza citare le numerose eccellenze, una industria ad alto valore aggiunto che incide anche sul reddito pro capite e come controprova, anche una recente ricerca della Cgia di Mestre dimostra come i lavoratori dipendenti delle aziende private delle province di Parma, Bologna, Modena e Reggio Emilia presentano una retribuzione lorda seconda solo a quelli di Milano.
Investire in ricerca, tecnologia, innovazione e di conseguenza visione sul futuro consente e consentirà di garantire competitività e maggiori redditi.
Reddito maggiore che ha come conseguenza diretta l’aumento dei consumi.
Unica ricetta per costruire un futuro positivo è che ciascuno di noi operi al meglio in ciò che è chiamato nel quotidiano.
È rispetto per noi stessi e per gli altri.
Si può fare.