Su Repubblica Annalisa Cuzzocrea critica la premier Giorgia Meloni, che ieri ha detto che l’8 giugno, per i referendum, andrà al seggio ma non ritirerà la scheda per votare.
Cuzzocrea ricorda i precedenti: l’invito balneare di Bettino Craxi contro il referendum sull’abolizione delle preferenze nel 1991; l’astensione dell’allora premier Matteo Renzi sulle trivelle, “benedetta” su questo giornale dall’ex capo dello Stato Giorgio Napolitano.
Si potrebbe dunque pensare che nell’atto della premier non ci sia nulla di nuovo. Nulla che non sia già stato visto a destra come a sinistra.
Eppure c’è. Giorgia Meloni non ritira la scheda – e si suppone intenda le cinque schede dei referendum sul lavoro e di quello sulla cittadinanza – ma solo questo possiamo fare: supporre.
La presidente del Consiglio non ha ritenuto necessario informare il Paese di quale sia la sua risposta ai 4 milioni di italiani che hanno firmato per cambiare le norme sui licenziamenti senza giusta causa e sugli appalti, e ai 637.487 che lo hanno fatto per dare la cittadinanza agli immigrati dopo cinque anni di residenza in Italia invece che dieci.
Governa anche loro, dovrebbe quindi governare anche per loro, ma non ritiene siano degni di considerazione.
La linea della maggioranza è stata prima silenziare i referendum – il lavoro della Rai su questo è stato impeccabile – e poi invitare a boicottarlo.
Lo ha fatto la seconda carica dello Stato, il presidente del Senato Ignazio La Russa, senza vedere quanto fosse improprio.
Lo fa ora la premier con un tocco originale che non cambia la sostanza: non ritirare le schede significa non essere conteggiati per il quorum.
L’8 e il 9 giugno Giorgia Meloni andrà alle urne per agitare la mano a favore di telecamere, come una regina.
Senza rendersi conto che non è mai un bello spettacolo, vedere un governo infastidito dalla democrazia.








