Non posso che esprimere grande apprezzamento per la scelta di porre il mare al centro della politica del Governo appena insediatosi, attraverso l’istituzione del nuovo Ministero per il sud e il mare.
In diverse occasioni, tra cui su questo stesso Osservatorio, ho avuto modo di evidenziare la rilevanza strategica ed economica che il bene “mare” può assumere nel nostro sistema Paese e la necessità di una visione unitaria ed integrata delle problematiche ad esso connesse.
Con la soppressione nel 1993 del Ministero della marina mercantile, istituito nel 1947, le competenze ad esso attribuite vennero ripartite fra diversi dicasteri. Fino a questo momento, infatti, il Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili era il principale erede delle competenze appartenute in precedenza al Ministero della marina mercantile; restavano assegnate al Ministero della transizione ecologica le funzioni relative alla protezione dell’ambiente marino ed al Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali quelle relative alla pesca ed all’acquacoltura, mentre al Ministero per lo sviluppo economico le competenze in materia di estrazioni minerarie in mare.
Un sistema tanto frammentato e disorganico non può rispondere in modo efficace alle scelte strategiche operate in ambito comunitario e rivolte da anni a sostenere una Politica marittima integrata (PMI) per l’Unione europea (Libro Blu della Commissione del 10 ottobre 2007), che presuppone un preciso quadro di governance coordinata delle attività connesse agli usi del mare, diretta dalla Direzione generale affari marittimi e pesca (DG Mare), in grado di esaltare le interconnessioni tra i diversi ambiti ed incoraggiare lo sfruttamento integrato dei mari. Non a caso, alcuni Paesi europei sono già intervenuti a modificare la propria governance attraverso l’istituzione di un Ministero ad hoc (es. Ministero del mare in Grecia, Cipro, Portogallo) o di una figura istituzionale di riferimento (es. Segretariato del mare in Francia).
Peraltro, l’esigenza di superare tale frammentazione era stata già anticipatamente tradotta in una proposta di legge (n. 1504) della Camera dei Deputati nel gennaio 2019, a prima firma dell’On. Giorgia Meloni, con l’intento di riportare, come si legge, “nell’ambito di un unico dicastero le funzioni e i compiti che hanno un collegamento con il mare, con la sua tutela, con le sue risorse, con il suo ecosistema e con i trasporti marittimi: un Ministero del mare deputato a valorizzare la peculiarità del sistema marittimo e la complessità delle sue articolazioni e lo sviluppo di politiche organiche per il settore”.
La grande sfida che attende ora il Governo sarà quella dell’attribuzione di deleghe, competenze e risorse al nuovo Ministero del mare, superando le prevedibili ritrosie di quei Ministeri chiamati a cedere le proprie, ovvero quelle connesse alle tematiche legate all’economia del mare, e garantendo in tal modo che il neo dicastero non resti, alla resa dei conti, una mera “scatola vuota”.
La nostra “economia del mare” comprende, in senso ampio, la gestione dei porti e dei retroporti, i trasporti e la logistica, le attività cantieristiche, la pesca e l’acquacoltura, la gestione integrata delle coste, il turismo nautico, le estrazioni marine: un insieme di settori diversi che richiedono da tempo una visione unitaria, integrata e sostenibile, di cui dovrebbe farsi protagonista il nuovo Ministero del mare, che, assunte le competenze attualmente ripartite fra i vari dicasteri, dovrebbe incaricarsi di coordinare tutte le politiche ed azioni attuabili nel comparto marittimo e sviluppare una reale e concreta strategia nazionale per l’economia marittima nel suo complesso, assumendo il ruolo di promotore vero della futura politica marittima comunitaria.
Una sfida, dunque, molto complessa, che richiederà grande coraggio e determinazione da parte del nuovo Governo. Un eventuale ridimensionamento del ruolo e delle funzioni del neo Ministero del mare, disattendendo per lo più gli stessi contenuti ed obiettivi della citata proposta di legge (n. 1504/2019), rappresenterebbe per il Paese un’occasione perduta, in quanto la nuova struttura di governance non solo si presenterebbe scarsamente efficace e non in grado di valorizzare risorse e potenzialità in un sistema organico di competenze e politiche di sviluppo, ma, ancor più, offrirebbe il fianco a quanti hanno da sempre dubitato in ordine all’opportunità della sua stessa istituzione.








