Analisi, scenari, inchieste, idee per costruire l'Italia del futuro

[L’intervento] Chiara Gibertoni (DG Policlinico Sant’Orsola): «Connettere i sistemi ospedalieri alla sanità del territorio per sconfiggere il virus»

Cerca
L'AUTORE DELL'ARTICOLO
ANALISI E SCENARI
OSSERVATORIO IDEE
OSSERVATORIO IMPRESE

Chiara Gibertoni, Diretto Generale del Policlinico Sant’Orsola Malpighi di Bologna, è intervenuta all’evento tenutosi nel capoluogo emiliano organizzato dal nostro Osservatorio Riparte l’Italia, ed ha partecipato al panel dal titolo “La Sanità che vogliamo”. Vi riportiamo di seguito il suo intervento integrale.

Dopo anni in cui per quanto riguarda la sanità si parlava solo di tagli, quindi del ridimensionamento, oggi invece nella sanità parliamo di investimenti che significa usare delle terminologie che non c’erano più nel nostro vocabolario, quindi entriamo nel discorso di costruire nuovi modelli, di cercare non esclusivamente l’efficienza del modello, ma anche la capacità di flessibilità che deve avere il sistema sanitario e che l’esperienza del covid ci ha insegnato.

Davvero penso che l’obiettivo di quest’osservatorio che è nato, questa piattaforma che cerca di edificare, è un segnale di sanità secondo me fortissimo per tutte le comunità professionali che ci lavorano perché, come ricordava il sottosegretario, il sistema è stato sotto finanziato, la regione Emilia Romagna penso che si vanti di avere, a buon diritto, uno dei sistemi sanitari pubblici universalistici migliori al mondo, Bologna in questo sistema rappresenta senz’altro un elemento distintivo rispetto anche ad altri territori per la ricchezza.

C’è il Sant’Orsola, che tra l’altro è diventato istituto di ricovero e cura a carattere scientifico proprio recentissimamente alla presenza anche del sottosegretario, ma ci sono anche altri due istituti di ricovero e cura a carattere scientifico sempre nell’area bolognese,  870.000 abitanti con una ricchezza in termini di offerta che significa che Bologna è un nodo anche per il resto della regione e per il resto del paese.

Quindi discutere in questi  termini  per una comunità così ricca come quella di Bologna credo che sia un elemento, dopo i mesi che abbiamo passato, anche di conforto perché si inizia a discutere di investimenti in sanità.

Ora secondo me la questione è come investiamo questi soldi, al di là dell’infrastruttura e quindi della logistica. Il Sant’Orsola in modo particolare ha sofferto negli ultimi anni anche dei problemi legati al finanziamento dell’edilizia sanitaria del nostro paese e ne sta scontando oggi le conseguenze perché abbiamo difficoltà ad usare padiglioni che non sono stati rinnovati ed hanno oggi uno standard, rispetto alla presenza del covid, che non è più proponibile rispetto alle dimensioni di ospitalità di posti letto e densità malati dell’era ante covid.

Ma al di là degli investimenti strutturali che sono necessari e si sono dimostrati indispensabili per recuperare quel margine di flessibilità che una politica di contenimento dei costi  necessariamente aveva reso troppo efficiente, quindi  troppo rigidi, ci sono anche, come ricordava il sottosegretario, una serie di ambiti su cui dobbiamo investire cercando nuovi modelli e nuove relazioni.

Allora parlando da direttore generale di un’azienda ospedaliera universitaria che è un centro di ricerche importante e lo è diventato, è stato valorizzato, il mio punto di vista è che il territorio è indispensabile anche per strutture che vogliono posizionarsi sul livello di distintività di quelle patologie, dei trapianti, siamo stati riconosciuti per i trapianti d’organo e per le gravi insufficienze d’organo così come per la parte oncologica, che oggi rappresenta una sfida e un ambito su cui si è anche investito in termini di ricerca.

Però una struttura che abbia anche questa vocazione deve necessariamente anche avere la focalizzazione sul territorio e sulla fragilità e costruire questo tipo di collegamento significa anche intervenire sulla geografia del governo delle aziende sanitarie perché l’azienda ospedaliera universitaria è un’azienda che produce e c’è un’azienda territoriale che è finanziata a quota capitaria, allora nel nostro sistema trovare anche dei modelli organizzativi che rendano possibile questo ponte è assolutamente indispensabile.

Il Sant’Orsola è senz’altro un’azienda di insegnamento, questo significa che i medici che si formano all’interno del Sant’Orsola devono essere in grado anche di interpretare quel ruolo territoriale che è necessario ma non solo. Dal mio punto di vista questo aspetto di didattica formativa deve trasferirsi proprio sul territorio, cioè ci deve essere un investimento anche da parte della formazione e della parte di didattica tipicamente universitaria, perché sta nel mandato dell’università formare i medici e i professionisti della sanità, che nasce direttamente dall’esperienza territoriale.

In questo senso Bologna credo che sia già pronta, perché abbiamo già sperimentato modelli di integrazione che stanno funzionando e che rappresentano dal mio punto di vista quello che può essere un modello alternativo, che sostiene il modello di cui parlava proprio prima l’on. Zampa, e questo secondo me è il grande cambio di  passo che dobbiamo fare: il territorio deve essere tempestivo nel farsi carico del paziente, deve lavorare in continuità, non ci può essere più la discontinuità del sabato, della domenica, dei festivi, ci deve essere lo stesso livello di continuità che c’è in una struttura ospedaliera e ci deve essere il tema della capacità dello scambio di informazioni che oggi è un grandissimo limite, i sistemi ospedalieri sono chiusi e non si parlano con i sistemi territoriali, qui abbiamo anche illustri ospiti che si occupano di questo tema.

Ecco, questo è un elemento che  può dare e può fare un cambio di passo e può cucire questa relazione tra i livelli ospedalieri ed i livelli universitari che anche nella nostra esperienza emiliano-romagnola, bolognese, così avanti, è senz’altro un elemento di debolezza che con il covid, che per me è stato una grande lente di ingrandimento su quelli che erano già gli snodi che andavano messi a punto in un sistema sanitario aggiornato come quello bolognese, dell’Emilia-Romagna, su cui bisogna assolutamente investire.

Confermo che anche il tema della ricerca è un tema su cui in prospettiva il territorio deve dare un contributo; il paziente che ha bisogno di tanti specialisti è il paziente fragile ed intorno a questa fragilità va costruito senz’altro un tema di collegamento tra le competenze, ma sulla multi disciplinarietà e sulla multi professionalità c’è ancora molto da fare. C’è secondo me la consapevolezza nella comunità professionale, quello che manca dal mio punto di vista è la capacità di scambiare le informazioni e fare quella presa in carico che non si riesce a fare se non ci sta quello scambio aggiornato e rapido sullo stato di salute del paziente.

Su questo poi l’esperienza del covid ci ha insegnato che la telemedicina può essere un’alternativa che noi avevamo ancora troppo poco esplorato e ancora troppo poco sfruttato ed invece su alcune patologie croniche risulta vincente, gradita dai professionisti ma gradita anche ai cittadini, perché consente quel dialogo che con la frequentazione fisica dei nostri ambulatori, delle nostre strutture è comunque sempre stata difficoltosa per un paziente che non è vicino alle grandi strutture, ma a ragion maggiore col covid è diventata impraticabile.

SCARICA IL PDF DELL'ARTICOLO

[bws_pdfprint display=’pdf’]

Iscriviti alla Newsletter

Ricevi gli ultimi articoli di Riparte l’Italia via email. Puoi cancellarti in qualsiasi momento.

Questo sito utilizza i cookie per migliorare l'esperienza utente.