Il vicedirettore generale della Banca d’Italia, Paolo Angelini, è intervenuto al convegno “Il Mezzogiorno per lo sviluppo dell’Italia: il ruolo delle banche e delle imprese”, organizzato congiuntamente a Napoli dalla Fondazione Ugo La Malfa, dall’Unione Industriali di Napoli e dall’ABI.
«Sono molto lieto di partecipare a questo convegno che affronta il tema dello sviluppo del Mezzogiorno, a cui la Banca d’Italia ha recentemente dedicato un’ampia ricerca1, che offre un quadro aggiornato degli andamenti dell’economia dell’area e presenta spunti di riflessione anche per questo incontro. In questo intervento farò ampio riferimento ai risultati di questi lavori.
Il quadro macro e le debolezze del tessuto produttivo del Mezzogiorno
Prima di entrare nel merito delle interazioni tra sistema produttivo e sistema finanziario è utile richiamare alcune tendenze che hanno caratterizzato lo sviluppo economico nazionale e meridionale negli ultimi decenni. Dalla metà degli anni Novanta l’economia italiana ha perso costantemente terreno rispetto agli altri paesi avanzati; con la doppia crisi del 2008-2013, finanziaria e dei debiti sovrani, ha subito un forte arretramento.
Il PIL pro capite, a metà anni Novanta di circa il 9 per cento più elevato rispetto alla media dell’area euro, nel 2021 risultava di ben 10 punti inferiore (fig. 1). Nello stesso periodo il Mezzogiorno ha visto diminuire pressoché ininterrottamente il suo peso economico all’interno del Paese. A metà anni Novanta il PIL dell’area era pari al 32 per cento di quello del Centro Nord; si è portato al 28 per cento alla vigilia della pandemia (fig. 2). Nel 2019 il PIL pro capite in rapporto a quello del Centro Nord, in calo da un decennio, era pari al 55 per cento.
Il divario riflette tassi di occupazione tra i più bassi in Europa e livelli di produttività nettamente inferiori a quelli medi nazionali. In particolare, con la doppia crisi finanziaria e dei debiti sovrani si è fortemente indebolito il processo di accumulazione di capitale e sono ancora cresciute le difficoltà nell’impiegare la forza lavoro disponibile (fig. 3)2. Nello scorso decennio fenomeni di divergenza tra regioni ricche e aree meno sviluppate hanno riguardato numerose economie avanzate3; l’ampliamento dei divari territoriali è visibile anche tra le stesse regioni del Centro Nord, alcune delle quali hanno visto andamenti economici del tutto simili a quelli del meridione4. Ma per quest’ultima area continuano a pesare anche due fattori specifici.
In primo luogo, nel Mezzogiorno si registra un sottodimensionamento del settore privato. Nel 2019 le regioni meridionali, con una popolazione pari al 34 per cento del totale nazionale, contribuivano appena per il 20 per cento al valore aggiunto dell’intero settore privato italiano (22 per cento nel 1995; fig. 4), per il 12 per cento al valore aggiunto manifatturiero. Inoltre, il manifatturiero meridionale è specializzato produzioni a basso livello tecnologico, prevalentemente destinate a soddisfare la domanda locale. Queste caratteristiche rendono l’economia meridionale fortemente dipendente dagli investimenti e dai trasferimenti pubblici. In secondo luogo, sono ampi i divari nella dotazione infrastrutturale del Sud, così come nella qualità e quantità dei servizi pubblici, siano essi erogati dallo Stato o dagli enti territoriali. Inoltre, una maggiore presenza criminale condiziona l’allocazione delle risorse pubbliche e private e altera il funzionamento dei meccanismi di mercato.
I dati medi non fanno certo giustizia alle molte imprese dinamiche del Mezzogiorno. Inoltre, su alcuni fronti sono stati registrati significativi progressi: è aumentata l’attrattività internazionale del comparto turistico, è cresciuta la capacità di generazione di energia da fonti rinnovabili e alcuni comparti, come quello agroalimentare, hanno confermato una significativa vitalità; è inoltre migliorata la capacità di penetrazione sui mercati internazionali e anche la dimensione media delle imprese è cresciuta. Tuttavia, i dati disponibili evidenziano nel complesso un chiaro ritardo sia del tessuto produttivo sia del contesto in cui operano le imprese, ritardo che occorre aver presente per interpretare correttamente il funzionamento del mercato creditizio.
Domanda e offerta di credito nel Mezzogiorno
Le imprese meridionali hanno una minore capacità di accedere al credito e al mercato dei capitali rispetto a quelle del resto del Paese. Nel 2019 il rapporto tra prestiti bancari alle imprese e valore aggiunto del settore privato non finanziario era di poco superiore al 50 per cento, circa 20 punti percentuali in meno rispetto al Centro Nord (fig. 5.a)5. Inoltre, nel meridione i tassi di interesse pagati dalle imprese risultano sistematicamente più alti rispetto al Centro Nord (8 e 6 per cento in media nell’ultimo decennio, rispettivamente; fig. 6.a); ciò è in larga misura riconducibile al divario nei tassi di deterioramento del credito, in media di oltre il 40 per cento superiori nel Mezzogiorno rispetto al Centro Nord (fig. 6.b).
La maggiore probabilità di default media (PD) delle imprese del Sud è a sua volta dovuta in parte a caratteristiche del sistema produttivo e delle imprese. Il Mezzogiorno è specializzato in settori relativamente rischiosi, come ad esempio il commercio e le costruzioni. Inoltre, a parità di composizione settoriale, le aziende meridionali sono mediamente più piccole e più giovani di quelle del Centro Nord, e presentano minori prospettive di crescita, margini operativi e livelli di patrimonializzazione6.
Parte della maggiore PD appare riconducibile ai menzionati fattori strutturali di contesto. Le analisi econometriche ne identificano almeno due di rilievo. Il primo è la criminalità organizzata, che nel Mezzogiorno assume diffusione e connotati di particolare gravità7 e che ha effetti diretti sulla probabilità di fallimento delle aziende, sui tassi di interesse applicati e sulla richiesta di garanzie reali8. Si stima che l’azzeramento della presenza mafiosa potrebbe innalzare il tasso di crescita del PIL del Mezzogiorno di 0,5 punti percentuali all’anno. Il secondo è l’inadeguato funzionamento della giustizia9.
Malgrado i miglioramenti degli ultimi anni, ancora nel 2019 la durata effettiva di un generico procedimento civile nelle regioni meridionali era prossima a 600 giorni, quasi il doppio rispetto al Centro Nord (fig. 7); i fallimenti duravano in media quasi 7 anni, contro 4,8 nel Centro Nord (fig. 8). La lentezza del processo di recupero dei crediti aumenta la perdita attesa in caso di default (la cosiddetta loss given default, LGD) e si traduce in tassi più alti e minore quantità e qualità del credito alle imprese10 e in un maggiore accumulo di crediti deteriorati nei bilanci delle banche11. Tenendo conto di tutti questi fattori, i differenziali territoriali nel costo del credito si riducono drasticamente, quelli nella rischiosità ex post del credito si azzerano12.
Le indagini presso le imprese indicano come la percezione di razionamento del credito tra le due aree geografiche sia nel complesso analoga, una volta che si considerino le caratteristiche delle singole imprese13. Gli indicatori di offerta non segnalano evidenti problemi. La minore densità di sportelli bancari nel Mezzogiorno è coerente con la minore presenza di iniziative imprenditoriali sul territorio14. La differenza si è peraltro attenuata negli anni più recenti in seguito alla più rapida ristrutturazione territoriale della rete bancaria nel Centro Nord, dove la digitalizzazione dei servizi è partita prima che nel Mezzogiorno15.
Durante la pandemia i provvedimenti governativi volti ad agevolare l’accesso al credito bancario sono stati particolarmente importanti per le imprese meridionali. Alla fine dello scorso anno circa il 30 per cento del credito erogato a imprese del Mezzogiorno era assistito da garanzia statale, a fronte di una media nazionale del 24 per cento16. Anche il ricorso alle moratorie è stato più intenso nel Mezzogiorno17. Al più frequente ricorso al supporto governativo ha corrisposto una più forte crescita dei prestiti bancari: nel primo anno dall’adozione delle misure (fino a marzo 2021) il credito alle imprese meridionali è cresciuto del 9,5 per cento, 3 punti in più della media nazionale (fig. 5b).
In conclusione, l’evidenza disponibile conferma che le difficoltà di accesso ai finanziamenti esterni da parte delle imprese meridionali appaiono principalmente ascrivibili alle loro caratteristiche, nonché al contesto in cui esse operano; risulta invece molto limitato il ruolo della struttura dell’offerta bancaria18.
Le prospettive e le politiche economiche
In sintesi, il ritardo di sviluppo del Mezzogiorno, ampio e crescente in gran parte degli ambiti, riflette due debolezze di fondo: un sistema produttivo fragile e sottodimensionato; un’azione pubblica nell’insieme non adeguata. Gli stessi fattori di debolezza pesano sullo sviluppo finanziario del tessuto produttivo meridionale: la maggiore rischiosità degli operatori e i fattori di contesto che accrescono i costi di recupero dei crediti si riflettono in una più elevata onerosità dei prestiti, che a sua volta deprime la domanda di credito delle imprese.
Alla luce di queste evidenze, le politiche pubbliche sono chiamate a spezzare il circolo vizioso tra debolezze del contesto e fragilità del sistema produttivo agendo in via prioritaria sugli ambiti di diretta responsabilità dello Stato e delle amministrazioni territoriali19. Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) costituisce un’occasione fondamentale per aggredire i ritardi accumulati dal Paese. Il Piano alloca al Sud circa 80 miliardi, che vanno ad aggiungersi a circa 120 miliardi previsti per il decennio dai Fondi strutturali e dal Fondo per lo sviluppo e la coesione, per un ammontare complessivo di oltre 200 miliardi; in media annua, circa il 6 per cento del PIL meridionale. Sarà essenziale evitare che la criminalità organizzata possa trarre beneficio da queste ingenti risorse.
È qui impossibile discutere in modo organico le azioni del Piano, che abbracciano numerosi fronti. La componente relativa agli investimenti può generare un significativo aumento nella dotazione infrastrutturale del Mezzogiorno. Spendere bene le risorse disponibili richiede il superamento dei limiti di programmazione e realizzazione mostrati in passato. Da questo punto di vista il PNRR introduce importanti novità: definisce specifici obiettivi da conseguire, predispone strumenti per rimuovere ostacoli normativi o operativi che rallentano o impediscono la realizzazione dei piani, stabilisce traguardi e scadenze sostenute da un sistema capillare di monitoraggio.
La componente delle riforme del PNRR potrà contribuire al miglioramento della qualità dei servizi, soprattutto del sistema giudiziario, grazie alle consistenti immissioni di personale previste per la costituzione dell’Ufficio del processo, la definizione di obiettivi e il monitoraggio dei risultati conseguiti dai singoli tribunali. Concentrando l’attenzione sui tribunali dove la durata dei procedimenti è superiore alla mediana, che comprendono la gran parte di quelli delle regioni meridionali, emerge come in alcuni casi l’eccessiva durata sia imputabile a inefficienza, in altri dipenda soprattutto da carenza di risorse20.
Questo stato di cose riflette quindi almeno in parte la difficoltà, da parte delle strutture del governo centrale, nel prevedere interventi correttivi nei casi in cui non si raggiungano gli standard minimi di qualità e nell’allocare le risorse sulla base degli specifici bisogni locali21. Come già sottolineato, sono pochi i comparti che a partire dalla crisi finanziaria del 2007-08 hanno mostrato nel Mezzogiorno una significativa capacità di espansione. Tra questi è sicuramente rilevante quello della produzione di energia da fonti rinnovabili che, nel più ampio ambito della transizione verde, potrebbe offrire al Sud nuove opportunità di sviluppo, soprattutto se la crescita del settore sarà accompagnata dalla capacità di attrarre e generare nuove attività produttive.
La potenza elettrica da fonti rinnovabili installata al Sud è cresciuta dal 26 per cento del totale nazionale nel 2007 al 40 per cento. Il Mezzogiorno ospita oggi il 97 per cento della capacità eolica totale e il 37 per cento di quella fotovoltaica. Il Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (PNIEC) del 2019 richiede che la capacità di generazione elettrica da fonte rinnovabile aumenti di 37 gigawatt, da realizzare in prevalenza nel Mezzogiorno. Tale traguardo dovrà essere aggiornato in base ai nuovi obiettivi stabiliti con il pacchetto FIT for 5522.
Le richieste di connessione per nuovi impianti di produzione di energia rinnovabile attualmente presentate segnalano notevoli potenzialità di sviluppo di questo settore nel nostro Paese: alla fine del 2021 le richieste per nuovi impianti fotovoltaici ed eolici erano rispettivamente di circa 85 e 83 gigawatt, per una potenza totale di 168 gigawatt, di cui oltre 140 concentrata nel Mezzogiorno. Il principale ostacolo a questo sviluppo è rappresentato dalla bassa domanda di energia espressa dal mercato nel Mezzogiorno, dovuta alla scarsa presenza di attività produttive in loco. La discrasia tra localizzazione dei punti di produzione e di consumo che ne deriva può essere almeno in parte superata rafforzando la rete di trasmissione tra Mezzogiorno e Centro-Nord.
Gli interventi infrastrutturali programmati da Terna, in corso di aggiornamento per tenere conto dei nuovi obiettivi di produzione da fonti rinnovabili, vanno in questa direzione; contribuiranno ad accrescere il grado di integrazione geografica ed efficienza del mercato elettrico nazionale23.Una soluzione complementare è rappresentata dall’aumento della capacità di accumulo, che consentirebbe di sfruttare l’energia da fonti rinnovabili in momenti diversi da quelli in cui si registrano i picchi di produzione. Le tecnologie necessarie a questo fine sono in rapido sviluppo; gli investimenti necessari per l’installazione di grandi capacità di accumulo sono ingenti24. Una terza soluzione – quella ideale – consiste ovviamente nell’aumentare la crescita dell’economia meridionale, anche sfruttando le opportunità che potrebbero derivare dall’attrazione di nuovi insediamenti produttivi, a partire da quelli connessi con la transizione verde.
Ne costituiscono un esempio i progetti per la produzione di impianti fotovoltaici a Catania e di batterie a Termoli, investimenti che avrebbero ricadute sul tessuto produttivo locale superiori a quelle della sola generazione di energia elettrica, settore con un impatto limitato sulla domanda di lavoro25. Il sistema finanziario ha un ruolo fondamentale da svolgere sul fronte della transizione ambientale. Su impulso del MEF stanno per iniziare i lavori di un tavolo di coordinamento in materia di sostenibilità che vedrà coinvolte le autorità di vigilanza del settore finanziario. Il tavolo potrebbe rappresentare un’occasione per avviare un dialogo con le associazioni di categoria degli intermediari e delle imprese, mirante a individuare progetti e soluzioni.
Conclusioni
Lo sviluppo del Mezzogiorno è ostacolato dalla debolezza del tessuto produttivo e da un contesto caratterizzato da ritardi infrastrutturali, da bassa qualità dei servizi pubblici e da una diffusa presenza criminale, fattori che a loro volta frenano l’iniziativa economica e incidono profondamente sulla qualità della vita dei cittadini. Il ritardo nello sviluppo finanziario delle regioni meridionali non è che un riflesso di questa doppia fragilità: solo rafforzando le imprese e migliorando il contesto in cui operano si potrà agevolare l’accesso al credito e ad altre forme di finanziamento.
Le politiche pubbliche hanno il compito prioritario di colmare i ritardi nei loro più diretti ambiti di competenza: investimenti in infrastrutture e produzione di servizi pubblici. Il successo di queste politiche permetterebbe di cogliere le nuove opportunità di sviluppo derivanti dalle profonde trasformazioni in atto, a partire dalla transizione verde. Oggi occorre quindi soprattutto sfruttare l’opportunità offerta dal PNRR anche come occasione per avviare un percorso, necessariamente di lungo periodo, per il progressivo miglioramento delle sue infrastrutture e dell’azione pubblica, a partire dall’ordinaria amministrazione. Come per il resto del Paese, se si saprà incidere sui numerosi fattori che frenano lo sviluppo economico sarà possibile interrompere le tendenze negative del passato».
- I principali risultati dei lavori di ricerca del progetto sono sintetizzati in Accetturo et al. (2022a).
- De Philippis et al. (2022) e Accetturo et al. (2022b).
- Ad esempio Regno Unito, Spagna e Francia. In Germania, invece, i divari territoriali si sono ridotti per effetto della convergenza dei Laender dell’ex Germania orientale.
- È questo il caso di Liguria, Valle d’Aosta, Umbria e Marche.
- Albareto et al. (2022). Questo divario si è dimezzato nello scorso decennio, ma ciò è accaduto prevalentemente per effetto dell’accresciuto ricorso a forme di finanziamento diretto da parte delle imprese medio-grandi, un fenomeno che ha coinvolto in misura molto marginale il sistema produttivo meridionale. A partire dal 2007 solo l’1 per cento del totale delle emissioni lorde di obbligazioni da parte di imprese italiane è stato collocato da aziende del Sud e soltanto il 2 per cento del valore delle operazioni di private equity e venture capital è avvenuto nel Mezzogiorno. Accetturo et. al. (2022) documentano che nel 2019, delle 308 imprese italiane quotate solo 13 erano localizzate nel Mezzogiorno, appena quattro in più rispetto al 2008.
- Alcune di queste differenze si sono ridotte nello scorso decennio per effetto dell’uscita dal mercato delle imprese che non hanno resistito alla doppia recessione, e del rafforzamento patrimoniale delle aziende sopravvissute. I differenziali restano tuttavia ampi.
- Mocetti e Rizzica (2021). Ma si vedano anche Barca e Visco (1992), Pinotti (2015) e Panetta (2019).
- Bonaccorsi di Patti (2009); Casolaro et al. (2022).
- Cugno et al. (2022); Commissione europea (2021).
- Generale e Gobbi (1996); Jappelli et al. (2005); Laeven e Majnoni (2005); Fabbri, 2010; Carpinelli et al. (2016); González-Torres e Rodano (2020) e Rodano (2021).
- Schiantarelli et al. (2020) e Rodano (2021).
- Bottoni et al. (2022) e Casolaro et al. (2022).
- Albareto et al. (2022).
- Arnaudo e Rossi (2022).
- Anche il processo di consolidamento del settore bancario, che ha indotto soprattutto al Sud un allontanamento dei centri decisionali bancari dal territorio, non sembra aver penalizzato il mercato creditizio meridionale. Del Prete et al. (2022) mostrano che nei casi in cui l’acquisizione di un intermediario meridionale da parte di gruppi bancari del Centro Nord abbia determinato episodi di restrizione del credito, questi hanno riguardato in misura analoga sia le imprese del Sud sia quelle del Centro Nord, a parità di caratteristiche.
- Arnaudo et al. (2022).
- A giugno 2020 il 19 per cento dei prestiti alle imprese del Mezzogiorno risultava in moratoria, contro il 16 della media nazionale.
- Il dibattito sulle origini di questo ritardo ha una lunga storia. Nel 1992 Faini et al. (1992) individuavano le cause della minore finanziarizzazione dell’economia meridionale nella struttura del sistema bancario e, in particolare, nella minore efficienza delle banche con sede nel Mezzogiorno e nella scarsa concorrenzialità dei mercati locali del credito. Le analisi successive hanno invece spostato l’attenzione sul contesto esterno, focalizzandosi su fattori ambientali quali la minore efficienza della giustizia, la minore dotazione di capitale sociale, la più diffusa presenza della criminalità organizzata (Guiso, 2006).
- Sulla necessità di affrontare in via prioritaria le debolezze dell’azione pubblica cfr. Visco (2022).
- Cugno et al. (2022).
- Considerazioni analoghe valgono per il sistema della scuola e dell’università; cfr. Bovini e Sestito (2021) e Mariani e Torrini (2022).
- La nuova versione del PNIEC dovrà aggiornare l’analisi costi-benefici alla luce di numerose novità di rilevo – il pacchetto Fit for 55 e il piano RepowerEU; i rincari registrati negli ultimi 18 mesi; le nuove esigenze di autonomia energetica scaturite dal conflitto in atto – che richiederanno una ulteriore forte espansione della capacità installata di rinnovabili.
- Un recente studio di Gonzales et al. (2022) riferito al caso cileno evidenza rilevanti benefici dagli investimenti volti a potenziare i collegamenti tra aree geografiche, in termini sia di ingresso di nuovi operatori sia di prezzo dell’energia prodotta.
- Zollino et al. (2022) stimano che in assenza di un adeguamento della rete una capacità di generazione aggiuntiva di 60 GW nel Mezzogiorno richiederebbe investimenti in accumulatori pari a circa 70 miliardi di euro per essere sfruttata interamente.
- Fabra et al. (2022).








