L’economia dell’Eurozona sembrava aver trovato un piccolo slancio, ma la luna di miele si è rapidamente esaurita.
Dopo quattro mesi di crescita moderata, il 2023 sembra aver segnato una nuova fase di incertezza, e l’indice Pmi calcolato da S&P Global ne è la chiara testimonianza.
A maggio, infatti, l’indice composito, che misura l’attività economica complessiva tra manifattura e servizi, è sceso a 49,5, sotto la soglia psicologica dei 50 punti che separa la crescita dalla contrazione.
Un colpo, certo, ma anche un richiamo alla realtà, dopo settimane in cui il mercato sembrava aver creduto in una ripresa.
A guidare questo nuovo rallentamento non sono tanto i dazi statunitensi – che pure hanno contribuito a generare incertezze – quanto la debolezza strutturale che l’economia europea continua a nascondere sotto il tappeto.
Il settore dei servizi, che per definizione è meno esposto alle fluttuazioni commerciali internazionali, ha registrato il calo più marcato dell’attività in 16 mesi.
Le imprese dei servizi si sono trovate ad affrontare un’improvvisa frenata della domanda interna, un segnale che la crescita interna è ancora lontana dall’essere robusta, anzi, comincia a vacillare.
Questo non è un segnale positivo per un’economia che, per rilanciarsi, ha bisogno di una domanda interna più forte.
Nonostante la persistente stagnazione, la manifattura ha mostrato una certa tenuta, con una crescita modesta che, in parte, può essere attribuita al tentativo delle aziende di anticipare i possibili effetti dei dazi americani.
Tuttavia, il rallentamento dell’economia europea non è solo un effetto collaterale delle politiche protezionistiche, ma è legato anche alla difficoltà di affrontare le sfide strutturali interne.
E qui emerge la questione più delicata: la Francia, che continua a soffrire con un’attività economica in contrazione per il nono mese consecutivo, e la Germania, che per la prima volta in quattro mesi ha visto la sua produzione scendere, sono i segnali di un’Europa che fatica a trovare una strada comune.
Se le due principali economie europee entrano in zona recessione, è inevitabile che l’intera eurozona ne risenta.
Certo, il resto della regione mostra ancora una leggera crescita, ma è evidente che il ritmo di espansione sta rallentando.
La promessa di una ripresa, quindi, si sta dissolvendo.
Eppure, come giustamente sottolineato da Cyrus de la Rubia, capo economista di Hamburg Commercial Bank, non si può ridurre questa dinamica ai soli dazi statunitensi.
Sebbene il settore manifatturiero abbia mostrato segnali di stabilità – e anzi, abbia interrotto una lunga serie di cali – il settore dei servizi, che è meno vulnerabile alla politica commerciale estera, evidenzia una debolezza di fondo.
La domanda interna si è sgonfiata, e questo è un segnale inequivocabile di una debolezza strutturale che affligge l’intero sistema.
L’inflazione, sebbene in calo, non è ancora sotto controllo, e la crescita continua a essere debole, con segnali di stallo anche sul fronte occupazionale.
La Germania e la Francia hanno perso posti di lavoro, mentre nel resto dell’eurozona l’occupazione ha mantenuto un trend positivo.
Tuttavia, il rallentamento della crescita globale e la persistente incertezza economica stanno ostacolando un reale miglioramento delle condizioni del mercato del lavoro.
In questo scenario, anche la fiducia delle imprese, scesa ai minimi da ottobre 2023, riflette la frustrazione e il pessimismo che sta dominando soprattutto il settore dei servizi.
Le prospettive quindi, appaiono incerte, anche se ci sono elementi che permettono di essere cautamente ottimisti.
La Bce, pur con le sue difficoltà, potrebbe adottare misure monetarie per stimolare la crescita, abbassando ulteriormente i tassi di interesse, ma la vera questione è se queste politiche saranno sufficienti a risollevare un sistema così fragile.
A sostegno di una ripresa ci sarebbero anche segnali positivi, come il calo dei prezzi energetici e le possibili politiche fiscali espansive, soprattutto in Germania.
Tuttavia, il vero nodo da sciogliere resta quello della domanda interna, la cui debolezza continua a essere il principale freno alla ripresa.








