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L’Europa tra allargamento e coesione | L’analisi di Guido Tabellini

Guido Tabellini su Repubblica parla di Europa, allargamento e coesione: “Tra poche settimane – scrive l’editorialista – ricorrerà l’anniversario del Consiglio Europeo di Milano del giugno 1985. In quell’occasione, su impulso dell’Italia e del governo Craxi, partì un percorso ambizioso e lungimirante, che portò al mercato unico e poi successivamente alla moneta unica e a importanti riforme delle istituzioni europee. Nel presentare il suo ambizioso rapporto sulla competitività al Parlamento Europeo, Mario Draghi ha spiegato perché i paesi europei dovrebbero ‘agire sempre di più come se fossimo un unico stato’. Ma né lui né altri si sono azzardati a suggerire che ciò richiederebbe anche più integrazione politica, dando implicitamente per scontato che agire come un unico stato sia possibile nell’ambito dei trattati esistenti”.

“Questo contrasto, tra l’enfasi degli anni ’80 e ’90 su “un’unione sempre più stretta” e il minimalismo europeo di oggi, è paradossale.

La causa principale di questo minimalismo europeo non è l’allargamento a Est, né la diversità di interessi tra paesi.

Il vero freno all’integrazione è interno: è l’emergere di partiti nazionalisti e populisti in quasi tutte le democrazie europee.

Due caratteristiche delle sue istituzioni hanno contribuito a rafforzare nazionalismo e populismo.

Da un lato – osserva Tabellini – abbiamo creato un’élite di burocrati europei isolati dal dibattito politico nazionale, ma che tuttavia hanno un grande impatto sulla vita dei cittadini.

Dall’altro, le decisioni politiche europee sono dominate dai governi. Ma poiché ogni governo deve rendere conto ai suoi elettori, inevitabilmente il dibattito europeo diventa un dibattito tra opposti interessi nazionali.

È difficile pensare che si possa uscire da questa impasse senza riaprire il cantiere delle riforme istituzionali.

Non è detto che un progetto più ambizioso, guidato dall’obiettivo di rendere l’Europa più democratica e più integrata politicamente, sia più irrealistico dell’attuale approccio minimalista, che cerca di cambiare l’Europa senza toccare i trattati.

Naturalmente è possibile che non tutti i 27 stati membri siano pronti.

Ma l’idea di una “unione sempre più stretta” potrebbe ripartire da un nucleo più esiguo di paesi, determinato a riformare le istituzioni europee anche per renderle più democratiche”.

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