Sul Messaggero Paolo Balduzzi commenta il nuovo monito lanciato da Mario Draghi all’Europa, che tuttavia appare sorda alle sue parole. La risposta dell’Europa latita, osserva Balduzzi. La strategia intrapresa dell’Unione, naturalmente anche condizionata dai mutati scenari internazionali, è stata quella di puntare verso condizioni di una economia sempre più “di guerra”, caratterizzata da ingenti investimenti nel settore militare, addirittura impegnandosi a raddoppiare, entro pochi anni, le risorse utilizzate oggi.
Una direzione, peraltro, che appare a molti come maggiormente finalizzata a compiacere il governo statunitense che a soddisfare reali esigenze dei paesi membri. I due modelli di sviluppo, quello basato sui guadagni di competitività e quello che punta al rafforzamento delle misure di difesa, però non sono totalmente incompatibili. Il tiro, tuttavia, va aggiustato.
A Draghi non sfugge certo la necessità di un’Europa più sicura: ma la sicurezza, nel suo Rapporto, passa anche, e soprattutto, attraverso una maggiore indipendenza rispetto ai sistemi economici esterni, in particolare per quanto riguarda la fornitura di materie prime energetiche e critiche.
D’altro canto, la storia recente, soprattutto guardando ai decenni della Guerra fredda, insegna come molte innovazioni tecnologiche che hanno contribuito a innalzare la crescita e la competitività dei paesi coinvolti (gli Stati Uniti su tutti) sono state rese possibili dalla ricerca applicata alle strategie di difesa militare.
Un compromesso, quindi, che permetterebbe all’Unione Europea di non sprecare ulteriormente tempo e denaro pubblico, potrebbe essere quello di insistere su progetti utilizzabili anche in una economia “civile”, in contrapposizione a quella di guerra: tecnologie aeree e spaziali, sistemi satellitari e di comunicazione, sviluppo e applicazioni sempre più precise dell’intelligenza artificiale.