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L’economia italiana è ferma | L’analisi di Carlo Cottarelli

Le stime del Pil pubblicate dall’Istat per il quarto trimestre del 2024 ci dicono una cosa chiarissima: l’economia italiana è ferma”.

Lo scrive Carlo Cottarelli su Repubblica osservando comunque che anche “l’intera eurozona non è messa bene, ma accontentarci della logica del mal comune mezzo gaudio… E poi, se guardiamo agli ultimi due trimestri, stiamo indietro anche rispetto alla media dell’eurozona. All’interno di questa chi va davvero bene sono Spagna e Portogallo, i soli che mantengono tassi di crescita americani, anzi meglio. Ma partiamo dall’Italia.

Dall’ultimo trimestre del 2022, quando il governo Meloni è stato formato, al secondo del 2024 la crescita dell’Italia è stata in media positiva, anche se non molto alta: si viaggiava a una velocità, annualizzata, dello 0,6%. Negli ultimi due trimestri del 2024 la crescita è stata nulla, zero nel terzo trimestre, zero nel quarto: calma piatta.

Anche i dati sull’occupazione non sono buoni: il numero degli occupati – rileva Cottarelli – ha smesso di crescere. Tra la fine del 2022 e l’agosto 2024 l’aumento dell’occupazione è stato di quasi 40.000 unità al mese. Il Pil non cresceva molto, ma gli occupati crescevano più rapidamente, il che forse vuol dire che creavamo posti di lavoro di cattiva qualità. Sia come sia, negli ultimi quattro mesi del 2024 abbiamo perso 1.500 posti al mese.

Ciò detto, se guardiamo al deludente andamento dell’Eurozona nel suo complesso, due considerazioni sono inevitabili. Nel breve periodo è essenziale che la Banca centrale europea proceda rapidamente con ulteriori tagli dei tassi di interesse: l’inflazione è sufficientemente bassa per non avere esitazioni, anche alla luce della leggera spinta recessiva che deriva dalla prevista riduzione dei deficit pubblici programmata per i Paesi dell’area nel 2025.

In un’ottica di medio termine anche i più recenti dati sul Pil confermano la validità di quanto scritto nei rapporti di Mario Draghi e di Enrico Letta preparati nel 2024 per le istituzioni europee. Se non cambiamo i nostri comportamenti – conclude – a partire dalla necessità di muoverci a livello europeo in modo più unitario per raggiungere le economie di scala necessarie per competere a livello globale con i super colossi americani e cinesi, scivoleremo presto nell’irrilevanza”.

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