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Le persone clinicamente guarite e quindi asintomatiche da almeno tre settimane non sono più contagiose

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Per mesi ci siamo arrovellati per capire se un paziente clinicamente guarito, ma ancora positivo al tampone, fosse ancora contagioso per le altre persone e quindi dovesse continuare l’isolamento domiciliare o in altra sede. A scopo precauzionale, finché non si è raggiunta un’ulteriore conoscenza del virus e dei suoi comportamenti, parecchi pazienti hanno dovuto rimanere isolati anche per mesi, dopo la guarigione clinica.

Oggi, però, sappiamo che non è così. Si tratta di c.d. falsi positivi, cioè di persone del tutto asintomatiche e con una quota virale bassissima, anzi, praticamente nulla: i pazienti senza sintomi non sono né a rischio di sviluppare la malattia, né di contagiare altri.

In merito al quesito se sia possibile che una persona già guarita dal Covid-19 risulti nuovamente positiva, bisogna precisare che i test virologici si basano sul genotipo, vale a dire sulla costituzione genetica del virus. Per esemplificare, proviamo ad immaginare che il virus sia una casa composta da tanti piccoli mattoni: al tampone rino/orofaringeo basta che solo uno di tali mattoni sia rimasto nell’organismo per dare un risultato positivo al test del tampone e, quindi, per far etichettare la persona come positiva, ma in realtà la casa è crollata da un pezzo. Insomma, il virus non c’è più, ma una sua traccia è sopravvissuta e il test, che è preciso e sensibile, la rileva lo stesso, anche se non riesce a distinguere che la sua pericolosità, sia per la persona in termini di malattia, sia di pericolosità di contagio per chi le sta intorno, non esiste più.

Purtroppo, può accadere che un paziente, prima malato, risulti negativo ai famosi due tamponi richiesti per dichiarare anche la guarigione virologica, oltre che clinica, ma poi si positivizzi di nuovo. Ciò accade perché i “mattoncini” residui bastano per alterare il risultato e renderlo positivo e non è una cosa rara in infettivologia. Si tratta però di singoli casi che devono essere correttamente interpretati, insieme a tutti gli elementi clinici e di contesto, da un professionista: non basta acquisirli semplicemente come tali e inserirli nelle statistiche, altrimenti alterano la situazione reale e forniscono un’errata percezione del contagio.

Non voglio semplificare in maniera eccessiva, ma desidererei chiarire che se una persona che è stata malata di Covid-19 dopo tre settimane non ha più alcun sintomo ed è, cioè, clinicamente guarita, non ha senso aspettare che esegua vari tamponi finché almeno due successivi non risultino negativi, perché non è più infettiva.

É quindi lecito chiedersi se sia corretto continuare ad isolare questi soggetti persistentemente positivi, benché asintomatici. In proposito, più specialisti a livello di Regione Emilia-Romagna stanno scrivendo un documento di indirizzo che dia indicazioni gestionali aggiornate rispetto alle conoscenze acquisite. Speriamo che sia recepito a livello istituzionale, perché ci consentirebbe di mantenere un efficiente controllo dell’andamento dell’epidemia senza imporre inutili limitazioni a persone che potrebbero riprendere le loro attività, anche produttive.

In sintesi, oggi sappiamo che le persone che sono rimaste positive per mesi, erano dei c.d. falsi positivi: allora non era noto e, pertanto, si tenevano isolate, ora invece abbiamo finalmente conoscenze più approfondite ed una consapevolezza diversa.

Sempre in  ambito di infezione asintomatica è utile una precisazione: se i focolai identificati ogni giorno si riferiscono a pazienti asintomatici, essi non devono suscitare un eccesso di preoccupazione. Questi focolai ci dicono che il virus continua a circolare, ma fortunatamente i soggetti asintomatici sono una popolazione a basso rischio di trasmissibilità. Sostanzialmente tali focolai ci ribadiscono quanto il sistema sanitario sia diventato bravo “a scovare” il virus.

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