Le banche centrali sono ancora capaci di controllare l’inflazione?
È l’interrogativo che si pone Francesco Grillo sulle pagine del Messaggero.
“I dubbi sull’efficacia degli strumenti che le banche centrali hanno a disposizione sono cominciati quando esse furono chiamate a andare oltre il proprio mandato prioritario per salvare un sistema finanziario colpito dalla crisi finanziaria del 2008 e da quella dei debiti sovrani nel 2011.
Dal 2009 fino al 2015 – ricorda Grillo -, Fed e Bce iniettarono nel sistema 5mila miliardi.
E tuttavia se prima di questa colossale operazione l’inflazione era attorno al 4%, essa era scesa sotto lo 0% quando l’iniezione si concluse nel 2015.
Contraddicendo ciò che studiamo nei volumi del primo anno della laurea di economia.
Oggi la situazione è opposta ma il paradosso si ripete.
L’inflazione è diventata improvvisamente troppo elevata e le banche centrali sembrano ugualmente impotenti: il tasso d’interesse della Bce è aumentato sei volte dal luglio scorso; l’inflazione è continuata però a crescere fino a novembre, per poi attestarsi a febbraio su un livello quattro volte superiore a quello sotto il quale la Bce deve tenerci per statuto.
Insomma, oggi come dieci anni fa sembra che l’inflazione sia diventata indifferente alle decisioni delle istituzioni che hanno come obiettivo quello di controllarne il livello”.
Secondo Grillo “è l’integrazione progressiva dei mercati dei beni e dei capitali, nonché la tecnologia ad aver (quasi) ucciso le politiche monetarie.
I prezzi scendono perché i computer stanno consentendo di aumentare la produttività; e salgono se il mondo fa retromarcia e spezza quelle catene attraverso le quali si trasferiscono più elevati livelli di efficienza. E sempre meno per le decisioni dei banchieri centrali.
Le conseguenze di tale novità sono molto importanti.
Potremmo infatti ritrovarci a scoprire che stiamo prendendo medicine scadute rispetto ad un virus che ha subito una mutazione che non abbiamo ancora avuto il tempo di studiare”.








