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Le banche centrali e il caos trumpiano | L’analisi di Marcello Messori

La situazione di caos che l’amministrazione Trump ha prodotto negli Stati Uniti e nei rapporti internazionali durante i primi mesi della sua attività non potrà essere riassorbita nel medio termine anche in caso di radicali ripiegamenti strategici.

È quindi ragionevole aspettarsi che i prossimi trimestri saranno caratterizzati da significativi rialzi nei prezzi statunitensi, malgrado la contingente riduzione del tasso medio di inflazione nei primi mesi dell’anno, e da persistenti difficoltà negli andamenti dell’economia europea, nonostante i contemporanei segnali di ripresa della produzione tedesca.

In tale quadro, le recenti scelte operate dalle banche centrali delle due aree (la Fed e la Bce) appaiono quanto mai appropriate.

A prescindere dalle ripetute e preoccupanti invasioni di campo da parte di Trump, il presidente della Fed non aveva spazio per tagli dei tassi di interesse di policy; e, a dispetto dei timori di una ripresa inflazionistica nell’euro-area espressa da alcuni membri del Comitato esecutivo della Bce, la presidente Lagarde non aveva solidi riscontri empirici per interrompere il processo di allentamento della politica monetaria.

Le scelte difficili riguarderanno i prossimi mesi. Il possibile aggravamento dell’incertezza, indotta dalle guerre ai confini dell’Unione europea e dall’avvicinarsi delle scadenze rispetto alla sospensione dei dazi, rischia di rendere ancora più vulnerabili i processi produttivi e di accentuare gli squilibri macroeconomici nelle principali aree.

Pertanto, le banche centrali di Stati Uniti e Ue si troveranno strette tra l’esigenza di sostenere gli investimenti sia “reali” che finanziari e la minaccia di trovarsi di fronte a dinamiche dei prezzi e/o a spese pubbliche fuori controllo.

L’imprevedibilità delle mosse di Trump rende temeraria ogni previsione sia a breve che a medio termine.

Si consideri inoltre che, in media, i tassi statunitensi di interesse sono molto più elevati di quelli europei e che gli aumenti del deficit e del debito pubblico statunitensi poggiano su una forte crescita del Pil.

A dispetto di tutto ciò, è la Bce a disporre di maggiori margini per future riduzioni nei tassi di interesse di policy.

Il modo più efficiente, con cui l’euro-area e l’Ue possono fronteggiare il disordine internazionale senza cadere in gravi squilibri macroeconomici, resta infatti quello di aumentare gli investimenti innovativi per la riorganizzazione del proprio apparato produttivo; il che impone, quale condizione necessaria anche se non sufficiente, una politica monetaria accomodante.

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