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Le aziende che non usano la Cig potranno licenziare. Ecco il piano di Draghi per lo sblocco dei licenziamenti. E per tenere insieme Confindustria e sindacati

Chi usa la Cig non può licenziare e può chiederla (gratis) chi si trova in settori messi in ginocchio dalla crisi. 

Un décalage ragionato degli aiuti. 

Ragiona su questa soluzione Mario Draghi, premier incaricato dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella, per uscire dal vicolo cieco dello sblocco dei licenziamenti (in corso da un anno) disperatamente invocato da Confindustria e che altrettanto disperatamente i sindacati tutti (Cgil, Cisl e Uil) hanno già chiesto al nuovo presidente del Consiglio in pectore di prolungare davanti alla drammatica crisi economica innescata dal Covid (e che non accenna a rallentare).

D’altro canto Draghi era stato molto chiaro nel suo ultimo intervento pubblico al Meeting di Rimini, lo scorso 18 agosto: «I sussidi sono una prima forma di vicinanza, servono a sopravvivere, a ripartire. Ma finiranno e ai giovani bisogna dare di più». 

Intervenire dunque con «flessibilità e pragmatismo» per ricostruire e «disperdere l’incertezza». 

Intervenire subito, insisteva Draghi. Come Keynes e De Gasperi «la cui riflessione sul futuro iniziò ben prima che la guerra finisse». 

E’ questa la base dell’analisi della giornalista Valentina Conte su Repubblica che prova a disegnare le mosse di Draghi che già da lunedì si troverà davanti le parti sociali (imprese e sindacati), convocate da lui stesso per un primo incontro.

Proprio al termine del primo giro di consultazioni con le forze parlamentari. 

Un segnale di estrema importanza, vista la drammaticità del momento. 

“Tra le prime sfide da affrontare, c’è senz’altro il quinto decreto Ristori: 32 miliardi di scostamento (nuovo deficit) autorizzati dal Parlamento; ma rimasti appesi alla crisi del governo Conte bis. Si prevedevano indennizzi alle attività produttive chiuse o ridimensionate dalla pandemia nel 2020” scrive Repubblica. 

Nuovi fondi al Reddito di cittadinanza, perché la povertà cresce e quest’anno potrebbe trascinare nel bisogno altre 5,5 milioni di persone. 

Improbabile che però un eventuale esecutivo Draghi si limiti dunque ai sostegni immediati. 

«Gli obiettivi di lungo periodo sono intimamente connessi con quelli di breve», diceva sei mesi fa. Passato il decreto Ristori 5 – o contestualmente – torneranno in cantiere la riforma degli ammortizzatori sociali e quella delle politiche attive. 

«Per la prima siamo pronti, c’è una nostra proposta depositata in Parlamento», riflette Tiziano Treu, presidente del Cnel. 

«Ma la vera urgenza solo le politiche attive: lì il Paese è immobile». Difficile che l’agenzia da cui dipendono queste politiche – l’Anpal – sopravviva alla gestione creativa dell’italo-americano Mimmo Parisi. Anche l’Inps dovrà garantire tempi inferiori di erogazione della Cig, in attesa di una sua rivisitazione. 

Al momento, ci dice l’Istat, l’Italia conta 2,3 milioni di disoccupati. Nel 2020 gli occupati sono crollati di 444 mila unità (di cui 312 mila donne). 

Alla schiera di inattivi – che gli organismi internazionali invitano a conteggiare nei senza lavoro – si sono aggiunti in 482 mila. 

Quasi 400 mila lavoratori a termine e 209 mila autonomi sono a spasso. Si teme un milione di ulteriori disoccupati nel 2021. 

Il reddito di cittadinanza sarà rivisto, senza dubbio. 

Un tagliando era da tempo nell’aria, ma difficilmente potrà essere smantellata l’unica misura per i poveri. 

Oggi va a 1,1 milioni di famiglie per 2,7 milioni di persone che percepiscono un assegno medio di 573 euro. 

Il sostegno al disagio però con ogni probabilità verrà separata dall’avviamento al lavoro. 

E qui l’ex presidente della Bce è cristallino: «Investire nei giovani, perché privarli del futuro è una delle forme più gravi di disuguaglianza». 

Proteggere lavoratori e imprese, per Draghi, è stata «una risposta corretta», perché sono loro «il tessuto della nostra economia» e «bisognava evitare che la recessione si trasformasse in depressione». 

Ma ora «è il momento della saggezza nella scelta del futuro che vorremo costruire». 

L’ultima versione del Recovery Plan riserva alle politiche attive del lavoro quasi 13 miliardi. 

Al Mise, il ministero dello Sviluppo economico, ci sono 105 tavoli di crisi industriali aperti che coinvolgono 120 mila lavoratori. 

E tanti ultra cinquantenni privi di qualifiche rischiano di essere espulsi. 

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